TESTO DI RIFERIMENTO PER LO STUDIO DELLE TECNICHE ARTISTICHE ANTICHE.
I
l libro dell’arte di Cennino Cennini è da sempre uno dei punti di riferimento per chi vuole conoscere le tecniche pittoriche antiche. Scritto in volgare all’inizio del XV secolo ve ne proponiamo la versione del 1859 curata da Felice Le Monnier.
Il libro, considerato dagli studiosi come testimonianza del momento di passaggio fra l’arte medievale e quella rinascimentale, rappresenta il primo trattato monografico sulla produzione artistica. Il testo contiene informazioni su pigmenti e pennelli, sulle tecniche pittoriche, sulla pittura ad affresco e la miniatura fornendo consigli e “trucchi” del mestiere.
Il libro dell’arte (testo tratto da wikisource).
INDICE |
Introduzione. Regole di vita |
Capitolo I – Capitolo II – Come alcuni vengono all’arte, chi per animo gentile, e chi per guadagno. Capitolo III – Come principalmente si de’ provedere chi viene alla detta arte. Capitolo IV – Come ti dimostra la regola in quante parti e membri s’appartengon l’arti. |
Tecnica del disegno |
Capitolo V – A che modo cominci a disegnare in tavoletta, e l’ordine suo. Capitolo VI – Come in più maniere di tavole si disegna. Capitolo VII – Che ragione d’osso è buono per inossare le tavole. Capitolo VIII – In che modo dèi incominciare a disegnare con istile, e con che luce. Capitolo IX – Come tu de’ dare (secondo) la ragione della luce, chiaroscuro alle tue figure, dotandole di ragione di rilievo. Capitolo X – El modo e l’ordine del disegnare in carta pecorina e in bambagina, e aombrare di acquerelle. Capitolo XI – Come si può disegnare con istil di piombo. Capitolo XII – Come, se avessi trascorso col disegnare con lo stile del piombo, in che modo lo puoi levar via. Capitolo XIII – Come si de’ praticare il disegno con penna. Capitolo. XIV – El modo di saper temperar la penna per disegnare. Capitolo XV – Come dèi pervenire al disegno in carta tinta. Capitolo XVI – Come si fa la tinta verde in carta da disegnare; e ’l modo di temperarla. Capitolo XVII – Come tu dèi tingere la carta di cavretto, e in che modo la debbi brunire. Capitolo XVIII – Come dèi tignere la carta morella, o ver pagonazza. Capitolo XIX – Come dèi tignere le carte di tinta indica. Capitolo XX – Come tu de’ tignere le carte di colore rossigno, o squasi color di pesco. Capitolo XXI – Come de’ tignere le carte di color d’incarnazione. Capitolo XXII – Come tu de’ tignare le carte di tinta berrettina, o vero bigia. Capitolo XXIII – In che modo puoi ritrarre la sustanza di una buona figura o disegno con carta lucida. Capitolo XXIV – Primo modo di sapere fare una carta lucida chiara. Capitolo XXV – Secondo modo a far carta lucida di colla. Capitolo XXVI – Come puoi fare carta lucida di carta bambagina. Capitolo XXVII – Come ti de’ ingegnare di ritrarre e disegnare di mano maestri più che puoi. Capitolo XXVIII – Come, sopra i maestri, tu dèi ritrarre sempre del naturale con continuo uso. Capitolo XXIX – Come dèi temperare tuo’ vita per tua onestà e per condizione della mano; e con che compagnia e che modo dèi prima pigliare a ritrarre una figura da alto. Capitolo XXX – In che modo prima dèi incominciare a disegnare in carta con carbone, e tor la misura della figura, e fermare con stil di argento. Capitolo XXXI – Come tu dèi disegnare e aombrare in carta tinta di acquerelle, e poi biancheggiare con biacca. Capitolo XXXII – Come tu puoi biancheggiare di acquarelle di biacca, sì come aombri di acquarelle d’inchiostro. Capitolo XXXIII – In che modo si fanno i carboni da disegnare, buoni e perfetti e sottili. Capitolo XXXIV – D’una prieta la quale è di natura di carbone da disegnare. |
Colori |
Capitolo XXXV – Riducendoti al triare de’ colori. Capitolo XXXVI – Come ti dimostra i colori naturali; e come dèi macinare il negro. Capitolo XXXVII – Il modo di sapere far di più maniere nero. Capitolo XXXVIII – Della natura del color rosso, che vien chiamato sinopia. Capitolo XXXIX – Il modo del fare rosso ch’è chiamato cinabrese, da incarnare in muro; e di suo’ natura. Capitolo XL – Della natura del rosso il quale vien chiamato cinabro; e come si dee triarlo. Capitolo XLI – Della natura di uno rosso il quale è chiamato minio. Capitolo XLII – Della natura di un rosso ch’è chiamato amatisto, o ver amatito. Capitolo XLIII – Della natura di un rosso ch’è chiamato sangue di dragone. Capitolo XLIV – Della natura di un rosso il quale vien chiamato lacca. Capitolo XLV – Della natura di un color giallo ch’è chiamato ocria. Capitolo XLVI – Della natura di un color giallo ch’è chiamato giallorino. Capitolo XLVII – Della natura di un giallo ch’è chiamato orpimento. Capitolo XLVIII – Della natura d’un giallo ch’è chiamato risalgallo. Capitolo XLIX – Della natura di un giallo che si chiama zafferano. Capitolo L – Della natura d’un giallo che si chiama árzica. Capitolo LI – Della natura di un verde il quale è chiamato verde terra. Capitolo LII – Della natura d’un verde che si chiama verde azzurro. Capitolo LIII – Del modo come si fa un verde di orpimento e d’indaco. Capitolo LIV – Del modo come si fa un verde d’azzurro e giallorino. Capitolo LV – Del modo da fare un verde d’azzurro oltramarino. Capitolo LVI – Della natura di un verde che si chiama verderame. Capitolo LVII – Come si fa un verde di biacca e verdeterra, o vuoi bianco sangiovanni. Capitolo LVIII – Della natura del bianco sangiovanni. Capitolo LIX – Della natura della biacca. Capitolo LX – Della natura dell’azzurro della Magna. Capitolo LXI – A contraffare di più colori simiglianti all’azzurro della Magna. Capitolo LXII – Della natura e modo a fare dell’azzurro oltramarino. |
Pennelli |
Capitolo LXIII – Com’è di bisogno sapere fare i pennelli. Capitolo LXIV – In che modo si fa pennelli di vaio. Capitolo LXV – Come e in che modo dèi fare i pennelli di setole. Capitolo LXVI – El modo di conservare le códole di vaio che non intarmino. |
Tecnica della pittura murale a fresco, a secco, ad olio |
Capitolo LXVII – Il modo e ordine a lavorare in muro, cioè in fresco, e di colorire o incarnare viso giovenile. Capitolo LXVIII – Il modo di colorire un viso vecchio in fresco. Capitolo LXIX – Il modo di colorire più maniere di barbe e di capellature in fresco. Capitolo LXX – Le misure che dee avere il corpo dell’uomo fatto perfettamente. Capitolo LXXI – El modo di colorire un vestimento in fresco. Capitolo LXXII – El modo di colorire in muro in secco, e sue tempere. Capitolo LXXIII – El modo di sapere fare un color biffo. Capitolo LXXIV – A lavorare un color biffo in fresco. Capitolo LXXV – A volere contraffare uno azzurro oltramarino lavorandolo in fresco. Capitolo LXXVI – A colorire un vestire pagonazzo, o vero morello, in fresco. Capitolo LXXVII – A colorire un vestire cangiante in verde, in fresco. Capitolo LXXVIII – A colorire un vestire, in fresco, cangiante di cignerognolo. Capitolo LXXIX – A colorire un cangiante di lacca, in secco. Capitolo LXXX – A colorire un cangiante, in fresco o in secco, d’ocria. Capitolo LXXXI – A colorire un vestimento berettino, in fresco o in secco. Capitolo LXXXII – A colorire un vestimento, in fresco e in secco, di colore berettino rispondente al colore di legno. Capitolo LXXXIII – A fare un vestire d’azzurro della Magna, o oltramarino, o mantello di Nostra Donna. Capitolo LXXXIV – A fare un vestire negro di abito di monaco o di frate, in fresco o in secco. Capitolo LXXXV – Del modo di colorire una montagna in fresco o in secco. Capitolo LXXXVI – Il modo di colorire albori, ed erbe, e verdure, in fresco e in secco. Capitolo LXXXVII – Come si de’ colorire i casamenti, in fresco e in secco. Capitolo LXXXVIII – Il modo del ritrarre una montagna del naturale. Capitolo LXXXIX – In che modo si lavora a olio in muro, in tavola, in ferro, e dove vuoi. Capitolo XC – Per che modo dèi cominciare a lavorare in muro ad olio. Capitolo XCI – Come tu dèi fare l’olio buono per tempera, e anche per mordenti, bollito con fuoco. Capitolo XCII – Come si fa l’olio buono e perfetto, cotto al sole. Capitolo XCIII – Sì come dèi triare i colori ad olio, e adoperarli in muro. Capitolo XCIV – Come dèi lavorare ad olio in ferro, in tavola, in pietra. Capitolo XCV – Il modo dell’adornare in muro ad oro, o con istagno. Capitolo XCVI – Come dèi sempre usare di lavorare oro fine, e di buoni colori. Capitolo XCVII – In che modo dèi tagliare lo stagno dorato, e adornare. Capitolo XCVIII – Come si fa lo stagno verde per adornare. Capitolo XCIX – Come si fa lo stagno dorato, e come colla detta doratura si mette d’oro fine. Capitolo C – Come si debbano fare e tagliare le stelle, e metterle in muro. Capitolo CI – Come del detto stagno, mettuto d’oro fine, puoi fare le diademe de’ santi in muro. Capitolo CII – Come dèi rilevare una diadema di calcina, in muro. |
Pittura su tavola |
Capitolo CIII – Come dal muro pervieni a colorire in tavola. Capitolo CIV – In che modo dèi pervenire a stare all’arte del lavorare in tavola. Capitolo CV – A che modo si fa la colla di pasta, o ver sugolo. Capitolo CVI – Come dèi fare la colla da incollare priete. Capitolo CVII – Come si fa la colla da incollare vasi di vetro. Capitolo CVIII – A che modo si adopera la colla di pesce, e come si distempera. Capitolo CIX – Come si fa la colla di caravella, e come si distempera, e a quante cose è buona. Capitolo CX – Perfetta colla a temperar gessi da ancone, o ver tavole. Capitolo CXI – Colla la quale è buona a temperare azzurri e altri colori. Capitolo CXII – A fare una colla di calcina e di formaggio. Capitolo CXIII – Come si dee incominciare a lavorare in tavola, o vero in ancone. Capitolo CXIV – Come si dee impannare in tavola. Capitolo CXV In che modo si debbe ingessare un piano di tavola, a stecca, di gesso grosso. Capitolo CXVI – Come si fa il gesso sottile da ingessare tavole. Capitolo CXVII – Come s’ingessa un’ancona di gesso sottile, e a che modo si tempera. Capitolo CXVIII – Come si può ingessare di gesso sottile, non avendo ingessato prima di gesso grosso. Capitolo CXIX – A che modo dèi temperare e macinare gesso sottile da rilevare. Capitolo CXX – A che modo dèi cominciare a radere un piano d’ancona ingessato di gesso sottile. Capitolo CXXI – Sì come si dee radere il gesso sottile su per li piani, e a che è buona la detta raditura. Capitolo CXXII – Come principalmente si disegna in tavola con carbone, e rafferma con inchiostro. Capitolo CXXIII – Sì come dèi segnare i contorni delle figure per mettere in campo d’oro. Capitolo CXXIV – Sì come si rilieva di gesso sottile in tavola, e come si legano le pietre preziose. Capitolo CXXV – Come dèi improntare alcuno rilievo per adornare alcuni spazi d’ancone. Capitolo CXXVI – Come si dee smaltare ciascun rilievo di muro. Capitolo CXXVII – Come si rilieva, con calcina in muro; come rilievi con gesso in tavola. Capitolo CXXVIII – Come si fa alcuno rilievo tratto d’impronta di prieta, e come son buoni in muro e in tavola. Capitolo CXXIX – Come si può rilevare in muro con vernice. Capitolo CXXX – Come si può rilevare in muro con cera. Capitolo CXXXI – Come si mette il bolio in tavola, e come si tempera. Capitolo CXXXII – Altro modo da temperare bolio in tavola, da mettere d’oro. Capitolo CXXXIII – Come si può mettere d’oro con verdeterra in tavola. Capitolo CXXXIV – Di che modo si mette l’oro in tavola. Capitolo CXXXV – Che pietre son buone a brunire il detto oro mettuto. Capitolo CXXXVI – Come si fa la pietra da brunire oro. Capitolo CXXXVII – Come si dee brunire l’oro, o porre rimedii quando non si potesse brunire. Capitolo CXXXVIII – Ora ti mostrerò il modo di brunire, e per che verso, spezialmente un piano. Capitolo CXXXIX – Che oro e di che grossezza è buono a mettere per brunire e per mordenti. Capitolo CXL – Come dèi principalmente volgere le diademe, e granare in su l’oro, e ritagliare i contorni delle figure. Capitolo CXLI – Come dèi fare un drappo d’oro o negro o verde, o di qual colore tu vuoi, in campo d’oro. Capitolo CXLII – Come si disegna, si gratta, e si grana un drappo d’oro o d’argento. Capitolo CXLIII – In qual modo si fa un ricco drappo d’oro o d’argento o di azzurro oltramarino; e come si fa di stagno dorato in muro. Capitolo CXLIV – In qual modo si contraffà in muro il velluto, o panno di lana, e così la seta, in muro e in tavola. Capitolo CXLV – Come si colorisce in tavola, e come si stemperano i colori. Capitolo CXLVI – Come dèi fare vestiri di azzurro, d’oro, o di porpora. Capitolo CXLVII – In qual modo si coloriscono i visi, le mani, i piedi, e tutte le incarnazioni. Capitolo CXLVIII – Il modo di colorire un uomo morto, le capellature, e le barbe. Capitolo CXLIX – Come dèi colorire un uomo ferito, o ver la ferita. Capitolo CL – In che modo si colorisce un’acqua o un fiume, con pesci o senza, in muro e in tavola. Capitolo CLI – Il modo di fare un buon mordente per mettere d’oro panni e adornamenti. Capitolo CLII – Come puoi temperare questo mordente per mettere più presto d’oro. Capitolo CLIII – Il modo di fare un altro mordente coll’ aglio; e dove sia meglio adoperarlo. Capitolo CLIV – Del vernicare. Capitolo CLV – Del tempo e del modo di vernicare le tavole. Capitolo CLVI – Come in corto tempo puoi far parere invernicata una pittura. |
Miniatura |
Capitolo CLVII – In che modo dèi miniare e mettere d’oro in carta. Capitolo CLVIII – Un altro modo per mettere d’oro in carta. Capitolo CLIX – Di un colore simile all’oro, il quale si chiama porporina; e in che modo si fa. Capitolo CLX – In qual modo si macina l’oro e l’argento, e come si tempera per far verdure e adornamenti, e come si può invernicare il verdeterra. Capitolo CLXI – Dei colori che si adoperano in lavorare in carta. |
Stoffe dipinte e tessuti |
Capitolo CLXII – Del modo di lavorare in tela o in zendado. Capitolo CLXIII – Come si lavori in tela nera o azzurra, o in cortine. Capitolo CLXIV – Come si dee disegnare in tela o in zendado per servigio de’ ricamatori. Capitolo CLXV – Del lavorare in zendado palii, gonfaloni, stendardi o altri lavori, e del mettere d’oro diademe o campi. Capitolo CLXVI – Il modo di colorire e di mettere d’oro in velluti. Capitolo CLXVII – Del lavorare in panno di lana. Capitolo CLXVIII – Come dèi lavorare coperte da cavalli, divise e giornee per torneamenti e per giostre. Capitolo CLXIX – Del fare cimieri o elmi da torneamenti e da rettori. Capitolo CLXX – Come dèi lavorar cofani o vero forzieri, e il modo di adornarli e colorirli. |
Pittura su vetro. Vetri dorati |
Capitolo CLXXI – Come si lavorano in vetro, finestre. Capitolo CLXXII – Come si lavora in opera musaica per adornamento di reliquie; e del musaico di bucciuoli di penna, e di gusci d’uovo. |
Stoffe stampate |
Capitolo CLXXIII – Il modo di lavorare colla forma dipinti in panno. |
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Capitolo CLXXIV – A mettere d’oro brunito una figura di pietra. Capitolo CLXXV – In che modo si può rimediare all’umidità del muro, dove si dee dipingere. Capitolo CLXXVI – Di due altri modi buoni a questo medesimo effetto. Capitolo CLXXVII – Del lavorare camere o logge a verdeterra in secco. Capitolo CLXXVIII – Come si può invernicare una tavola lavorata di verdeterra. Capitolo CLXXIX – Come, avendo dipinto il viso umano, si lavi e netti dal colore. Capitolo CLXXX – Perchè le donne debbansi astenere dall’usare acque medicate per la pelle |
Getti dal vero e forme per la fusione in metallo |
Capitolo CLXXXI – Come sia cosa utile l’improntare di naturale. Capitolo CLXXXII – In che modo s’impronta di naturale la faccia d’uomo o di femmina. Capitolo CLXXXIII – Per qual modo si procura il respirare alla persona, della quale s’impronta la faccia. Capitolo CLXXXIV – Come si getta di gesso sul vivo la impronta, e come si leva e si conserva e si butta di metallo. Capitolo CLXXXV – Ti dimostra come si può improntare un ignudo intero d’uomo o di donna, o un animale, e gettarlo di metallo. Capitolo CLXXXVI – Come si può improntare la propria persona, e poi gettarla di metallo. Capitolo CLXXXVII – Dell’improntare figurette di piombo, e come si moltiplicano le impronte col gesso. Capitolo CLXXXVIII – Come s’impronta una moneta in cera o in pasta. Capitolo CLXXXIX – Come s’impronta un suggello o moneta con pasta di cenere. |
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FATTO E COMPOSTO DA CENNINO DA COLLE, A RIVERENZA DI DIO, E DELLA VERGINE MARIA, E DI SANTO EUSTACHIO, E DI SANTO FRANCESCO, E DI SAN GIOVANNI BATISTA, E DI SANTO ANTONIO DA PADOVA, E DI TUTTI SANTI E SANTE DI DIO, E A RIVERENZA DI GIOTTO, DI TADDEO, E DI AGNOLO MAESTRO DI CENNINO, E AUTOLITÀ E BENE E GUADAGNO DI CHI ALLA DETTA ARTE VORRÀ PERVENIRE.
Capitolo I
Cap. I – Nel principio che Iddio onnipotente creò il cielo e la terra, sopra tutti animali e alimenti creò l’uomo e la donna alla sua propia immagine, dotandoli di tutte virtù. Poi, per lo inconveniente che per invidia venne da Lucifero ad Adam, che con sua malizia e segacità lo ingannò di peccato contro al comandamento di Dio, cioè Eva, e poi Eva Adam; onde per questo Iddio si crucciò inverso d’Adam, e sì li fe’ dall’angelo cacciare, lui e la sua compagna, fuor del paradiso, dicendo loro: perchè disubbidito avete el comandamento il quale Iddio vi dètte, per vostre fatiche ed esercizii vostra vita traporterete. Onde cognoscendo Adam il difetto per lui commesso, e sendo dotato da Dio sì nobilmente, si come radice, principio e padre di tutti noi; rinvenne di sua scienza di bisogno era trovare modo da vivere manualmente. E così egli incominciò con la zappa, ed Eva col filare. Poi seguitò molte arti bisognevoli, e differenziate l’una dall’altra; e fu ed è di maggiore scienza l’una che l’altra; chè tutte non potevano essere uguali; perchè la più degna è la scienza; appresso di quella séguita alcuna discendente da quella, la quale conviene aver fondamento da quella con operazione di mano: e questa è un’arte che si chiama dipignere, che conviene avere fantasia, con operazione di mano, di trovare cose non vedute (cacciandosi sotto ombra di naturali), e fermarle con la mano, dando a dimostrare quello che non è, sia. E con ragione merita metterla a sedere in secondo grado alla scienza, e coronarla di poesia. La ragione è questa: che il poeta, con la scienza prima che ha, il fa degno e libero di poter comporre e legare insieme sì e no come gli piace, secondo sua volontà. Per lo simile al dipintore dato è libertà potere comporre una figura ritta, a sedere, mezzo uomo, mezzo cavallo, sì come gli piace, secondo sua fantasia. Adunque, o per gran cortesia o per amore, tutte quelle persone che in loro si sentono via o modo di sapere o di potere aiutare ed ornare queste principali scienze con qualche gioiello, che realmente senza alcuna peritezza si mettano innanzi, offerendo alle predette scienze quel poco sapere che gli ha Iddio dato.
Sì come piccolo membro essercitante nell’arte di dipintoría, Cennino di Drea Cennini da Colle di Valdelsa, nato, fui informato nella detta arte dodici anni da Agnolo di Taddeo da Firenze mio maestro, il quale imparò la detta arte da Taddeo suo padre; il quale suo padre fu battezzato da Giotto, e fu suo discepolo anni ventiquattro. Il quale Giotto rimutò l’arte del dipignere di greco in latino, e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno. Per confortar tutti quelli che all’arte vogliono venire, di quello che a me fu insegnato dal predetto Agnolo mio maestro, nota farò, e di quello che con mia mano ho provato; principalmente invocando l’alto Iddio onnipotente, cioè Padre, Figliuolo, Spirito Santo; secondo, quella dilettissima avvocata di tutti i peccatori Vergine Maria, e di santo Luca evangelista, primo dipintore cristiano, e dell’avvocato mio santo Eustachio, e generalmente di tutti i santi e sante del paradiso. Amen.
Capitolo II
Cap. II – Come alcuni vengono all’arte, chi per animo gentile, e chi per guadagno.
Non sanza cagione d’animo gentile alcuni si muovono di venire a questa arte, piacendogli per amore naturale. Lo intelletto al disegno si diletta, solo che da loro medesimi la natura a ciò gli trae, senza nulla guida di maestro, per gentilezza di animo. E per questo dilettarsi, seguitano a volere trovare maestro; e con questo si dispongono con amore d’ubbidienza, stando in servitù per venire a perfezione di ciò. Alcuni sono, che per povertà e necessità del vivere seguitano, sì per guadagno e anche per l’amor dell’arte; ma sopra tutti quelli, da commendare è quelli che per amore e per gentilezza all’arte predetta vengono.
Capitolo III
Cap. III – Come principalmente si de’ provedere chi viene alla detta arte.
Adunque, voi che con animo gentile sete amadori di questa virtù, principalmente all’arte venite, adornatevi prima di questo vestimento: cioè amore, timore, ubbidienza e perseveranza. E quanto più tosto puoi, incomincia a metterti sotto la guida del maestro a imparare; e quanto più tardi puoi, dal maestro ti parti.
Capitolo IV
Cap. IV – Come ti dimostra la regola in quante parti e membri s’appartengon l’arti.
El fondamento dell’arte, e di tutti questi lavorii di mano principio, è il disegno e ’l colorire. Queste due parti vogliono questo, cioè: sapere tritare, o ver macinare, incollare, impannare, ingessare, e radere i gessi, e pulirli, rilevare di gesso, mettere di bolo, mettere d’oro, brunire, temperare, campeggiare, spolverare, grattare, granare, o vero camusciare, ritagliare, colorire, adornare, e invernicare in tavola o vero in cona. Lavorare in muro, bisogna bagnare, smaltare, fregiare, pulire, disegnare, colorire in fresco, trarre a fine in secco, temperare, adornare, finire in muro. E questa si è la regola dei gradi predetti, sopra i quali, io con quel poco sapere ch’io ho imparato, dichiarerò di parte in parte.
Capitolo V
Cap. V – A che modo cominci a disegnare in tavoletta, e l’ordine suo.
Sì come detto è, dal disegno t’incominci. Ti conviene avere l’ordine di poter incominciare a disegnare il più veritevile. Prima, abbi una tavoletta di bosso, di grandezza, per ogni faccia, un sommesso; ben pulita e netta, cioè lavata con acqua chiara; fregata e pulita di seppia, di quella che gli orefici adoperano per improntare. E quando la detta tavoletta è asciutta bene, togli tanto osso ben tritato per due ore, che stia bene; e quanto più sottile, tanto meglio. Poi raccoglilo, tiello, e conservalo involto in una carta asciutta: e quando tu n’hai bisogno per ingessare la detta tavoletta, togli meno di mezza fava di questo osso, o meno; e colla sciliva rimena questo osso, e va’ distendendo con le dita per tutta questa tavoletta; e innanzi che asciughi, tieni la detta tavoletta dalla man manca, e col polpastrello della man ritta batti sopra la detta tavoletta tanto, quanto vedi ch’ella sia bene asciutta. E viene inossata igualmente così in un loco come in un altro.
Capitolo VI
Cap. VI – Come in più maniere di tavole si disegna.
A quel medesimo è buona la tavoletta del figàro ben vecchio: ancora certe tavolette le quali s’usano per mercatanti; che sono di carta pecorina ingessata, e messe di biacca a olio; seguitando lo inossare con quello ordine che detto ho.
Capitolo VII
Cap. VII – Che ragione d’osso è buono per inossare le tavole.
Bisogna sapere che osso è buono. Togli osso delle cosce e delle alie delle galline, o di cappone; e quanto più vecchi sono, tanto sono migliori. Come gli truovi sotto la mensa, così gli metti nel fuoco; e quando vedi sono tornati bene bianchi più che cenere, tranegli fuore, e macinagli bene in su proferito; e adopralo secondo che dico di sopra.
Capitolo VIII
Cap. VIII – In che modo dèi incominciare a disegnare con istile, e con che luce.
Ancora l’osso della coscia del castrone è buono, e della spalla, cotto per quella forma è detto. E poi abbi uno stile di argento o d’ottone, o di ciò si sia, purchè dalle punte sia d’argento, sottili a ragione, pulite, e belle. Poi con esempio comincia a ritrarre cose agevoli quanto più si può, per usare la mano, e collo stile su per la tavoletta leggermente, che appena possi vedere quello che prima incominci a fare; crescendo i tuo’ tratti a poco a poco; più volte ritornando per fare l’ombre: e quanto l’ombre nelle stremità vuoi fare più scure, tanto vi torna più volte; e così, per lo contrario, in su e rilievi tornavi poche volte. E ’l timone e la guida di questo potere vedere, si è la luce del sole, la luce dell’occhio tuo, e la man tua; chè senza queste tre cose nulla non si può fare con ragione. Ma fa’ che, quando disegni, abbi la luce temperata, e il sole ti batta in sul lato manco: e con quella ragione t’incomincia a usare in sul disegnare, disegnando poco per dì, perchè non ti venga a infastidire nè a rincrescere.
Capitolo IX
Cap. IX – Come tu de’ dare (secondo) la ragione della luce, chiaroscuro alle tue figure, dotandole di ragione di rilievo.
Se per ventura t’avvenisse, quando disegnassi o ritraessi in cappelle, o colorissi in altri luoghi contrari, che non potessi avere la luce dalla man tua, o a tuo modo, seguita di dare el rilievo alle tue figure, o veramente disegno, secondo l’ordine delle finestre che trovi ne’ detti luoghi, che ti hanno a dare la luce. E così, seguitando la luce da qual mano si sia, da’ el tuo rilievo e l’oscuro, secondo la ragione detta. E se venisse che la luce venisse o risplendesse per lo mezzo in faccia, o vero in maestà, per lo simile metti il tuo rilievo chiaro, e lo scuro alla ragione detta. E se la luce prosperasse con finestra che fusse maggiore d’altra che fusse ne’ detti luoghi, seguita sempre la più eccellente luce, e voglia con debito ragionevole intenderla e seguitarla; perchè, ciò mancando, non sarebbe tuo lavorio con nessuno rilievo, e verrebbe cosa semprice, e con poco maestero.
Capitolo X
Cap. X – El modo e l’ordine del disegnare in carta pecorina e in bambagina, e aombrare di acquerelle.
Ritornando in su ’l diritto del nostro andare, ancor si può disegnare in carta pecorina e bambagina. Nella pecorina tu puoi disegnare, o vero dibusciare, collo stile detto, mettendo prima del detto osso, seminato isparso e nettato con zampa di levre, per su per la carta, asciutto, e spolverato in forma di polvere o di vernice da scrivere. Se vuoi, poichè hai collo stile disegnato, chiarire meglio il disegno, ferma con inchiostro ne’ luoghi stremi e necessari. E puoi aombrare le pieghe di acquerella d’inchiostro; cioè acqua quanto un guscio di noce tenessi dentro due goccie d’inchiostro; e aombrare con pennello fatto di code di vaio, mozzetto e squasi sempre asciutto: e così, secondo gli scuri, così annerisce l’acquerella di più gocciole d’inchiostro. E per lo simile puoi fare e aombrare di colori o di pezzuole secondo che i miniatori adoperano; temperati i colori con gomma, o veramente con chiara, o albume d’uovo, ben rotta e liquefatta.
Capitolo XI
Cap. XI – Come si può disegnare con istil di piombo.
Ancora puoi senza osso disegnare nella detta carta con istile di piombo; cioè fatto lo stile due parti piombo, e una parte stagno ben battuto a martellino.
Capitolo XII
Cap. XII – Come, se avessi trascorso col disegnare con lo stile del piombo, in che modo lo puoi levar via.
Nella carta bambagina puoi disegnare col predetto piombino, senza osso, ed eziandio con osso. E se alcuna volta t’avvenisse trascorso, che volessi tor via alcuno segno fatto per lo detto piombino, togli una poca di midolla di pane, e fregavela su per la carta, e torrai via quello che vorrai. E similmente su per la detta carta puoi aombrare d’inchiostro, di colori, e di pezzuole con la predetta tempera.
Capitolo XIII
Cap. XIII – Come si de’ praticare il disegno con penna.
Praticato che hai in su questo esercizio un anno, e più e meno secondo che appetito o diletto tu arai preso, alcuna volta puoi disegnare in carta bambagina pur con penna che sia temperata sottile; e poi gentilmente disegna, e vieni conducendo le tue chiare, mezze chiare, e scure, a poco a poco, colla penna più volte ritornandovi. E se vuoi rimangano i tuoi disegni un poco più lecchetti, davvi un poco di acquerella, secondo t’ho detto di sopra, con pennello di vaio mozzetto. Sai che ti avverrà, praticando il disegnare di penna? che ti farà sperto, pratico, e capace di molto disegno entro la testa tua.
Capitolo XIV
Cap. XIV – El modo di saper temperar la penna per disegnare.
Se ti bisogna sapere come questa penna d’oca si tempera, togli una penna ben soda, e recatela in su il diritto delle due dita della man manca, a riverscio; e togli un temperatoio ben tagliente e gentile; e piglia, per larghezza, un dito della penna per lunghezza; e tagliala, tirando il temperatoio inverso te, facendo che la tagliatura sia iguali e per mezzo la penna. E poi riponi il temperatoio in su l’una delle sponde di questa penna, cioè in su ’l lato manco che inverso te guarda, e scarnala, e assottigliala inverso la punta; e l’altra sponda taglia al tondo, e ridulla a questa medesima punta. Poi rivolgi la penna volta in giù, e mettitela in sull’unghia del dito grosso della man zanca; e gentilmente, a poco a poco, scarna e taglia quella puntolina; e fa’ la temperatura grossa e sottile, secondo che vuoi, o per disegnare o per iscrivere.
Capitolo XV
Cap. XV – Come dèi pervenire al disegno in carta tinta.
Per venire a luce di grado in grado, e incominciare a volere trovare il principio e la porta del colorire, vuolsi pigliare altro modo di disegnare che quello di che abbiamo detto perfino a mo. E questo si chiama disegnare in carta tinta; cioè o in carta pecorina, o in carta bambagina. Sieno elleno tinte; però che in una medesima forma si tinge l’una che l’altra, e d’una medesima tempera. E puoi fare le tue tinte o in rossetta, o in biffo, o in verde; o azzurrine, o berrettine cioè colore bigie, o incarnate, o come ti piace; chè tutte vogliono medesime tempere, e medesimo tempo a macinare colori; e in tutte per un medesimo modo si può disegnare. È vero che la tinta verde comunemente per la più gente si usa più e più, ed è più comunale sì per l’aombrare e sì per lo imbiancheggiare: benchè più innanzi dichiarerone ogni triare di colori, e loro natura, e loro tempere. In brieve, qui ti darò un brieve modo, per lo bisogno che hai a venire al tuo disegnare, e del tuo tingere delle carte.
Capitolo XVI
Cap. XVI – Come si fa la tinta verde in carta da disegnare; e ’l modo di temperarla.
Quando tu vuo’ tignere carta di cavretto, o veramente foglio di carta bambagina, togli quanto una mezza noce di verdeterra, e per la metà d’essa un po’ d’ocria; e per la metà dell’ocria, biacca soda; e quanto una fava, d’osso (con quell’osso che indrieto t’ho detto da disegnare); e, quanto mezza fava, di cinabro; e macina bene tutte queste cose in su prieta proferitica con acqua di pozzo, o di fontana, o di fiume. E tanto le macina, quanto hai sofferenza di poter macinare, chè mai non possono essere troppo; chè quanto più le macini, più perfetta tinta vienne. Poi tempera le predette cose con colla di questa tempera e fortezza: togli uno spicchio di colla dagli speziali, non di pesce, e mettila in uno pignattello in molle in tanta acqua chiara e netta, quanto possa tenere due mugliuòli comuni, per ispazio di sei ore. Poi, questo pignattello mettilo a fuoco, che sia temperato; e schiumalo quando bolle. Quando ha bollito un poco, tanto veggia la colla ben disfatta, colala due volte. Poi togli un vasello da pintori, grande, e capace ai detti colori macinati; e mettivi tanta di questa colla, che corra bene al pennello; e togli un pennello di setole, grossetto, che sia morbido. Poi abbi quella tua carta che vuoi tignere; e di questa tinta ne da’ distesamente per lo campo della tua carta, menando la mano leggiermente, e ’l pennello squasi mezzo asciutto, ora per uno verso ora per l’altro; e così ne da’ tre o quattro volte o cinque, tanto che veggia che ugualmente la carta sia tinta. E sta’ di spazio dall’una volta all’altra tanto, che ciascuna volta asciughi. E se vedessi che per lo tuo tignere aridisse o incoiasse per la tinta, è segno che la tempera è troppo forte: e però, quando dài la prima fiata, ponvi rimedio. Come? Mettivi dentro dell’acqua chiara tepida. Quando è asciutta e fatta, togli un coltello, e va’ col taglio fregando su per lo foglio tinto, leggiermente, acciò che levi via se nessun granelluzzo vi fusse.
Capitolo XVII
Cap. XVII – Come tu dèi tingere la carta di cavretto, e in che modo la debbi brunire.
Quando tu vuoi tignere la carta di cavretto, convienti prima bagnarla con acqua di fontana o di pozzo, tanto diventi molliccica e morbida. Poi la ferma con bullette tirata su per una asse, a modo di carta di tamburo; e, per lo simile detto di sopra, le da’ la tinta a tempo. Se caso fosse che la carta bambagina o pecorina non fosse piana a tuo modo, piglia la detta carta, pigliala, e mettila in su un’asse di noce, o in su una prieta ben piana e pulita. Poi metti un foglio di carta bambagina, ben netto, sopra quella che hai tinta; e con pietra da brunire oro, brunisci con buona forza di mano; e così per questo cotal modo verrà morbida e pulita. Vero è che ad alcuni piace molto brunire pur su per la carta tinta, cioè che la pietra da brunire la tocchi e cerchi, perchè l’abbi un poco di lustro. Poi fa’ come a te piace: ma il primo mio modo è migliore. La ragione è questa: che fregando la pietra da brunire sopra la tinta, per lo suo lustro toglie il lustro dello stile quando disegni; ed eziandio l’acquerelle, che vi dái su, non vi appariscono sfumanti e chiare, come fa a modo detto in prima. Sed nihilominus, fa’ come tu vuoi ec.
Capitolo XVIII
Cap. XVIII – Come dèi tignere la carta morella, o ver pagonazza.
Ora attendi nel fare di queste tinte. Nel tignere le tue carte nel colore della morella, o vero pagonazza, togli per quella quantità di fogli che ho detto di sopra, cioè mezza oncia di biacca grossa, e quanto una fava di lapis amatita: e macina bene insieme quanto più puoi; chè per macinare assai non si guasta, ma sempre si racconcia. Tempera secondo modo detto usato.
Capitolo XIX
Cap. XIX – Come dèi tignere le carte di tinta indica.
La tinta indaca. Togli quella quantità di fogli di sopra detta; abbi mezza oncia di biacca, e la quantità di due fave d’indaco baccadeo; e macina bene insieme; chè per triare bene non se ne guasta la tinta. Tempera con la medesima tempera, a modo detto di sopra.
Capitolo XX
Cap. XX – Come tu de’ tignere le carte di colore rossigno, o squasi color di pesco.
Se vuoi tignere di colore rossigno, per quella quantità di fogli detta di sopra, togli mezza oncia di verdeterra; per la quantità di due fave, di biacca grossa; e quanto una fava, di sinopia chiara. Macina a modo usato; e così tempera con la tua colla, o ver tempera.
Capitolo XXI
Cap. XXI – Come de’ tignere le carte di color d’incarnazione.
Per fare la tinta ancora bene incarnata, convienti tòrre, alla quantità detta fogli, mezz’oncia di biacca grossa, e men che una fava di cinabro. Convienti macinare ogni cosa insieme; e tempera a modo usato detto di sopra.
Capitolo XXII
Cap. XXII – Come tu de’ tignere le carte di tinta berrettina, o vero bigia.
Tinta berrettina, o ver bigia, la farai in questo modo. Prima togli un quarro di biacca grossa; quanto una fava di ocria chiara, men che mezza fava di nero. Macina queste cose bene insieme a modo usato. Temperasi, come ti ho detto delle altre, mettendovi a ciascuna sempre per lo meno quanto una fava d’osso brugiato. E questo ti basti alle carte di più ragioni tinte.
Capitolo XXIII
Cap. XXIII – In che modo puoi ritrarre la sustanza di una buona figura o disegno con carta lucida.
Bisognati essere avvisato, ancora è una carta che si chiama carta lucida, la quale ti può essere molto utile per ritrarre una testa o una figura o una mezza figura, secondo che l’uomo truova di man di gran maestri. E per avere bene i contorni, o di carta o di tavola o di muro, che proprio la vogli tor su, metti questa carta lucida in su la figura, o vero disegno, attaccata gentilmente in quattro canti con un poco di cera rossa o verde. Di subito per lo lustro della carta lucida trasparrà la figura, o ver disegno, di sotto, in forma e in modo che ’l vedi chiaro. Allora togli o penna temperata ben sottile, o pennel sottile di vaio sottile; e con inchiostro puoi andare ricercando i contorni e le stremità del disegno di sotto; e così generalmente toccando alcuna ombra, siccome a te è possibile potere vedere e fare. E, levando poi la carta, puoi toccare di alcuni bianchetti e rilievi, siccome tu hai i piaceri su.
Capitolo XXIV
Cap- XXIV – Primo modo di sapere fare una carta lucida chiara.
Questa carta lucida ti bisogna, non trovandone della fatta, farne per questo modo. Togli una carta di cavretto, e dálla a un cartolaio, e falla tanto raschiare che poco si tegna, e che la conservi raderla igualmente. È lucida per se medesima. Se la vuoi più lucida, togli olio di lin seme chiaro e bello, e ugnila con bambagia del detto olio; lasciala bene asciugare per ispazio di più dì; e sarà perfetta e buona.
Capitolo XXV
Cap. XXV – Secondo modo a far carta lucida di colla.
Se vuoi fare questa carta lucida per un altro modo, togli una pietra di marmo, o proferitica, ben pulita. Poi abbi colla di pesce e di spicchi, che vendono gli speziali. Mettila in molle con acqua chiara, ed in sei spicchi fa’ che sia una scodella di acqua chiara. Poi la fa’ bollire: e bollita, colala bene due o tre volte. Poi piglia questa colla colata, e strutta, e tiepida; e con pennello, a modo che tigni le carte tinte, così ne da’ sopra queste pietre che sieno nette; e vogliono essere le dette pietre prima unte d’olio di uliva. E quando questa colla, data su, è asciutta, togli una punta di coltellino, e comincia per alcun luogo a spiccare questa tal colla dalla pietra, tanto che con la mano possa pigliare questa così fatta pelle, o ver carta. E fa’ con temperata mano, acciò che questa cotal pelle tu la possi spiccare dalla prieta con salvamento, a modo di una carta. E se questa tale pelle, o ver carta, tu vuoi provarla, innanzi la spicchi dalla prieta, togli olio di lin seme ben bollito, a modo che t’insegnerò ne’ mordenti; e con pennello morbido ne da’ una volta per tutto, e lasciala asciugare per due o per tre dì; e sarà poi buona carta lucida.
Capitolo XXVI
Cap. XXVI – Come puoi fare carta lucida di carta bambagina.
Questa medesima carta lucida, di che abbiam detto, si può fare di carta bambagina. Prima, la carta fatta sottilissima, piana, e ben bianca; poi ugni la detta carta con olio di lin seme, detto di sopra. Vien lucida, ed è buona.
Capitolo XXVII
Cap. XXVII – Come ti de’ ingegnare di ritrarre e disegnare di mano maestri più che puoi.
Pure a te è di bisogno si seguiti innanzi, acciò che possi seguitare il viaggio della detta scienza. Tu hai fatto le tue carte tinte. È mestieri di seguire di tenere questo modo. Avendo prima usato un tempo il disegnare, come ti dissi di sopra, cioè in tavoletta, affatícati e dilèttati di ritrarre sempre le miglior cose, che trovar puoi per mano fatte di gran maestri. E se se’ in luogo dove molti buon maestri sieno stati, tanto meglio a te. Ma per consiglio io ti do: guarda di pigliare sempre il migliore, e quello che ha maggior fama; e, seguitando di dì in dì, contra natura sarà che a te non venga preso di suo’ maniera e di suo’ aria; perocchè se ti muovi a ritrarre oggi di questo maestro, doman di quello, nè maniera dell’uno nè maniera dell’altro non n’arai, e verrai per forza fantastichetto, per amor che ciascuna maniera ti straccerà la mente. Ora vuo’ fare a modo di questo, doman di quello altro, e così nessuno n’arai perfetto. Se seguiti l’andar di uno per continovo uso, ben sarà lo intelletto grosso che non ne pigli qualche cibo. Poi a te interverrà che, se punto di fantasia la natura ti arà conceduto, verrai a pigliare una maniera propia per te, e non potrà essere altro che buona; perchè la mano e lo intelletto tuo, essendo sempre uso di pigliare fiori, mal saprebbe torre spina.
Capitolo XXVIII
Cap. XXVIII – Come, sopra i maestri, tu dèi ritrarre sempre del naturale con continuo uso.
Attendi, che la più perfetta guida che possa avere e migliore timone, si è la trionfal porta del ritrarre di naturale. E questo avanza tutti gli altri essempi; e sotto questo con ardito cuore sempre ti fida, e spezialmente come incominci ad avere qualche sentimento nel disegnare. Continuando ogni dì non manchi disegnar qualche cosa, chè non sarà sì poco che non sia assai; e faratti eccellente pro.
Capitolo XXIX
Cap. XXIX – Come dèi temperare tuo’ vita per tua onestà e per condizione della mano; e con che compagnia e che modo dèi prima pigliare a ritrarre una figura da alto.
La tua vita vuole essere sempre ordinata siccome avessi a studiare in teologia, o filosofia, o altre scienze, cioè del mangiare e del bere temperatamente, almen due volte il dì, usando pasti leggieri e di valore, usando vini piccoli; conservando e ritenendo la tua mano, riguardandola dalle fatiche, come in gittare pietre, palo di ferro, e molte altre cose che sono contrarie alla mano, da darle cagione di gravarla. Ancor ci è una cagione, che, usandola, può alleggerire tanto la mano, che andrà più ariegando, e volando assai più che non fa la foglia al vento. E questa si è, usando troppo la compagnia della femmina. Ritorniamo al fatto nostro. Abbi a modo d’una tasca fatta di fogli incollati, o pur di legname, leggiera, fatta per ogni quadro, tanto vi metta un foglio reale, cioè mezzo: e questa t’è buona per tenervi i tuo’ disegni, ed eziandio per potervi tenere su il foglio da disegnare. Poi te ne va’ sempre soletto, o con compagnia sia atta a fare quel che tu, e non sia atta a darti impaccio. E quanto questa compagnia fusse più intendente, tanto sarebbe meglio per te. Quando se’ per le chiese, o per cappelle, e incominci a disegnare, ragguarda prima di che spazio ti pare o storia o figura che vogli ritrarre; e guarda dove ha gli scuri, e mezzi, e bianchetti: e questo vuol dire che hai a dare la tua ombra d’acquerelle d’inchiostro; in mezzi, lasciare del campo proprio; e a’ bianchetti, dare di biacca, ec. ec.
Capitolo XXX
Cap. XXX – In che modo prima dèi incominciare a disegnare in carta con carbone, e tor la misura della figura, e fermare con stil di argento.
Togli prima il carbone sottile, e temperato com’è è una penna o lo stile; e la prima misura che pigli a disegnare, piglia l’una delle tre che ha il viso, che ne ha in tutto tre, cioè la testa, il naso, e ’l mento colla bocca. E pigliando una di queste, t’è guida di tutta la figura, de’ casamenti, dall’una figura all’altra, ed è perfetta tuo’ guida; aoperando il tuo intelletto di sapere guidar le predette misure. E questo si fa, perchè la storia, o figura, sarà alta, che con mano non potrai aggiugnere per misuralla. Conviene che con intelletto ti guidi; e troverai la verità, guidandoti per questo modo. E se di primo tratto non ti viene bene in misura la tua storia o figura, abbi una penna, e co’ peli della detta penna, di gallina o di oca che sia, frega e spazza, sopra quello che hai disegnato, il carbone; andrà via quel disegno. E ricomincialo da capo tanto e quanto tu vedi che con misura si concordi la tua figura coll’essemplo; e poi, quando t’avvedi che stia appresso di bene, togli lo stile di argento, e va’ ricercando su per li contorni e stremità de’ tuo’ disegni, e su per le pieghe maestre. Quando hai fatto così, togli da capo la penna pelosa, e spazza bene il detto carbone, e rimarrà il tuo disegno fermato collo stile.
Capitolo XXXI
Cap. XXXI – Come tu dèi disegnare e aombrare in carta tinta di acquerelle, e poi biancheggiare con biacca.
Quando hai la pratica nella mano d’aombrare, togli uno pennello mozzetto; e con acquarella d’inchiostro in un vasellino, va’ col detto pennello tratteggiando l’andare delle pieghe maestre; e poi va’ sfumando, secondo l’andare, lo scuro della piega. E questa tale acquarella vuole essere squasi come acqua poca tinta; e il pennello si vuole essere squasi sempre siccome asciutto; non affrettandoti; a poco poco venire aombrando; sempre ritornando col detto pennello ne’ luoghi più scuri. Sai che te ne interviene? che se questa tale acqua è poca tinta, e tu con diletto aombri e senza fretta, el ti viene le tue ombre a modo di un fummo bene sfumate. Abbia a mente di menare il pennello sempre di piatto. Quando se’ venuto a perfezione di questo aombrare, togli una gocciola o due d’inchiostro, e metti sopra la detta acquerella, e col detto pennello rimescola bene. E poi al detto modo va’ cercando col detto pennello pur nella profondità delle dette pieghe; cercando bene i lor fondamenti; avendo sempre la ricordanza in te del tuo aombrare, cioè in tre parti dividere: l’una parte, ombra; l’altra, tinta del campo che hai; l’altra, biancheggiata. Quando hai fatto così, togli uno poco di biacca ben triata con gomma arabica (che più innanzi ti tratterò come la detta gomma si de’ dislinguare e struggerla, e tratterò di tutte le tempere). Ogni poca biacca basta. Abbi in uno vasellino acqua chiara, e intignivi dentro il pennello tuo detto di sopra, e fregalo su per questa biacca macinata del vasellino, massimamente s’ella fusse risecca. Poi te l’acconcia in su la mano [o] in sul dosso del dito grosso; racconciando, e premendo il detto pennello, e discarcandolo, quasi asciugandolo. E incomincia, di piatto, il detto pennello a fregare sopra e in quelli luoghi dove dee essere il bianchetto e rilievo; e séguita più volte andando col tuo pennello, e guidalo con sentimento. Poi, in sulle stremità de’ rilievi, nella maggiore altezza, togli un pennello con punta; e va’ colla biacca toccando colla punta del detto pennello, e va’ raffermando la sommità de’ detti bianchetti. Poi va’ raffermando, con un pennello piccolo, con inchiostro puro, tratteggiando le pieghe, i dintorni, nasi, occhi e spelature di capelli e di barbe.
Capitolo XXXII
Cap. XXXII – Come tu puoi biancheggiare di acquarelle di biacca, sì come aombri di acquarelle d’inchiostro.
Ancora io t’avviso, quando tu sarai più pratico, a voler perfettamente biancheggiare con acquarelle, sì come fai l’acquerella d’inchiostro. Togli la biacca macinata con acqua, e temperala con rossume d’uovo, e sfumma sì a modo d’acquerelle d’inchiostro. Ma è a te più malagevole, e vuolsi più pratica. Tutto questo si chiama disegnare in carta tinta, ed è via a menarti all’arte del colorire. Seguitalo sempre quanto puoi, ch’è il tutto del tuo imparare. Attendivi bene, sollecitamente e con gran diletto e piacere.
Capitolo XXXIII
Cap. XXXIII – In che modo si fanno i carboni da disegnare, buoni e perfetti e sottili.
Prima che più oltre vada, ti voglio mostrare in che forma de’ fare i carboni da disegnare. Abbi qualche bastone di saligàro, secco e gentile; e fanne cotali rocchietti di lunghezza come una palma di mano, o, se vuoi, quattro dita. Poi dividi questi pezzi in forma di zolfanelli; e sì come mazzo di zolfanelli gli asuna insieme; ma prima gli pulisce e aguzza da ogni capo, sì come stanno i fusi. Poi, così a mazzi, li lega insieme in tre luoghi per mazzo, cioè nel mezzo e a ciascheduno de’ capi, con filo o di rame o di ferro, sottile. Poi abbi una pignatta nuova, e mettivili dentro tanto, quanto la pignatta sie piena. Poi abbi un testo da coprirla con crea, in modo che per nessun modo non ne sfiati di niente. Poi vattene dal fornaro la sera, quando ha lasciato ovra (cioè quando ha finito di cuocere il pane), e metti questa pignatta nel forno, e lasciavela stare per fino alla mattina; e guarda se i detti carboni fussino ben cotti e ben negri. Dove non gli trovassi cotti tanto, ti viene rimetterla nel forno, che sieno cotti. Come ti dèi avvedere che bene istieno? Togli un di questi carboni, e disegna in su carta, o bambagina o tinta, o tavola o ancona ingessata. E se vedi che ’l carbone lavori, sta bene: e se fusse troppo cotto, non si tiene al disegno, ch’el si spezza in molte parti. Ancora ti do un altro modo ai detti carboni fare. Togli una tegliuzza di terra, coperta per lo modo predetto; mettila la sera sotto il foco, e copri bene il detto foco colla cenere; e vatti a letto. La mattina saranno cotti. E per lo simile puo’ fare de’ carboni grandi e de’ piccoli; e fare come ti piace, chè miglior carboni non n’è al mondo.
Capitolo XXXIV
Cap. XXXIV – D’una prieta la quale è di natura di carbone da disegnare.
Ancora per disegnare ho trovata certa pría nera, che vien del Piemonte, la quale è tenera pría; e puo’la aguzzare con coltellino, chè ella è tenera e ben negra; e puoi ridurla a quella perfezione che ’l carbone. E disegna secondo che vuoi.
Capitolo XXXV
Cap. XXXV – Riducendoti al triare de’ colori.
Per venire a luce dell’arte di grado in grado, vegniamo al triar de’ colori, avvisandoti chi sono i colori più gentili, e più grossi, e più schifi; quale vuol esser triato o ver macinato poco, quale assai; quale vuole una tempera, quale ne vuole un’altra; e così come sono svariati ne’ colori, così sono nelle nature delle tempere e del triare.
Capitolo XXXVI
Cap. XXXVI – Come ti dimostra i colori naturali; e come dèi macinare il negro.
Sappi che sono sette colori naturali; cioè quattro propri di lor natura terrigna, siccome negro, rosso, giallo e verde: tre sono i colori naturali, ma voglionsi aiutare artifizialmente, come bianco, azzurro oltremarino, o della Magna, e giallorino. Non andiamo più innanzi, e torniamo al nero colore. Per triarlo come si dè’, togli una prieta proferitica rossa, la quale è pietra forte e ferma: chè sono di più ragioni pietre da macinare colori, sì come proferito, serpentino e marmo. Il serpentino è tenera prieta, e non è buona; il marmo è piggiore, ch’è troppo tenera. Ma sopra tutto è ’l proferito: e se togli di quelli così lucidi lucidi, è meglio; e meglio un di quelli che non sieno tanto tanto puliti; e di larghezza da mezzo braccio in su di quadro. Poi togli una prieta da tenere in mano, pur proferitica, piana di sotto e colma di sopra, in forma di scodella, e di grandezza men di scodella, in forma che la mano ne sia donna di poterla menare, e guidarla in qua e là come le piace. Poi togli quantità di questo negro, o di altro color che sia, quanto sarebbe una noce, e metti in su questa pría; e con quella che tieni in mano, stritola bene questo negro. Poi togli acqua chiara o di fiume, o di fontana, o di pozzo, e macina il detto negro per spazio di mezza ora, o di una ora, o di quanto tu vuoi; ma sappi, se ’l triassi un anno, tanto sarà più negro e miglior colore. Poi togli una stecca di legno sottile, larga tre dita, c’abbia il taglio come di coltello; e con questo taglio frega su per questa pria, e raccogli il detto colore nettamente, e mantiello liquido, e non troppo asciutto, acciò che corra bene alla pietra, e che ’l possa ben macinare, e ben raccoglierlo. Poi il metti nel vasellino, e mettivi dentro dell’acqua chiara predetta, tanta che ’l vasello sia pieno; e così lo tieni sempre in molle e ben coperto dalla polvere e d’ogni cattiveria, cioè in una cassettina atta a tenere più vaselli di licori.
Capitolo XXXVII
Cap. XXXVII – Il modo di sapere far di più maniere nero.
Nota che del negro son più maniere di colori. Negro egli è una pietra negra, tenera, e ’l colore è grasso. Avvisandoti che ogni color magro è migliore che il grasso: salvo che in mettere d’oro, bolio, o verdeterra, che abbia a mettere d’oro in tavola, quanto più è grasso, tanto viene miglior oro. Lasciamo star questa parte. Poi è negro il quale si fa di sermenti di viti; i quali sermenti si vogliono bruciarli; e quando sono bruciati, buttarvi su dell’acqua e spegnerli, e poi triarli a modo dell’altro nero. E questo è colore negro e magro; ed è de’ perfetti colori che adoperiamo, ed è il tutto. È un altro negro che si fa di guscia di mandorle, o di persichi arsi; e questo è perfetto nero e sottile. È un altro negro che si fa in questa forma. Togli una lucerna piena d’olio di semenza di lino, e empi la detta lucerna del detto olio, e impiglia la detta lucerna: poi la metti così impresa sotto una tegghia ben netta, e fa’ che la fiammetta della lucerna stia appresso al fondo della tegghia a due o tre dita, e ’l fummo ch’esce della fiamma batterà nel fondo della tegghia: affumasi con corpo. Sta’ un poco; piglia la tegghia, e con qualche cosa spazza questo colore, cioè questo fummo, in su carta o in qualche vasello; e non bisogna triarlo, nè macinarlo, perocchè egli è sottilissimo colore. Così per più volte riempi la lucerna del detto olio, e rimetti sotto la tegghia, e fanne per questo modo quanto te ne bisogna.
Capitolo XXXVIII
Cap. XXXVIII – Della natura del color rosso, che vien chiamato sinopia.
Rosso è un color naturale che si chiama sinopia, o ver porfido. Il detto colore è di natura magra e asciutta. Sostien bene il triare; chè quanto più si tria, tanto più vien fine. È buono a lavorallo in tavola, o ver in ancone o in muro, in fresco e in secco. E questo fresco e secco ti darò a intendere quando diremo del lavorare in muro. E questo basti al primo rosso.
Capitolo XXXIX
Cap. XXXIX – Il modo del fare rosso ch’è chiamato cinabrese, da incarnare in muro; e di suo’ natura.
Rosso è un colore che si chiama cinabrese chiara, e questo colore non so che s’usi altrove che a Firenze; ed è perfettissimo a incarnare, o ver fare incarnazioni di figure in muro, e lavorallo in fresco. Il qual colore si fa della più bella sinopia che si truovi, e più chiara; ed è missidada e triata con bianco santogiovanni, il quale così si chiama a Firenze; ed è fatto questo bianco con calcina ben bianca e ben purgata. E quando questi due colori sono ben triati insieme (cioè le due parti cinabrese, e il terzo biancozzo), fanne panetti piccoli come mezze noci, e lasciali seccare. Come n’hai bisogno, tra’ne quel che ti pare; chè il detto colore ti fa grande onore di colorir volti, mani, e ignudi in muro, come detto ho. E talvolta ne puo’ fare di belli vestiri, che in muro paiono di cinabro.
Capitolo XL
Cap. XL – Della natura del rosso il quale vien chiamato cinabro; e come si dee triarlo.
Rosso è un colore che si chiama cinabro: e questo colore si fa per archimia, lavorato per lambicco; del quale, perchè sarebbe troppo lungo a porre nel mio dire ogni modo e ricetta, lascio stare. La ragione? perchè, se ti vorrai affaticare, ne troverrai assai ricette, e spezialmente pigliando amistà di frati. Ma io ti consiglio, perchè non perda tempo nelle molte svariazioni di pratiche, pigli pur di quel che truovi da’ speziali per lo tuo denaro: e voglio insegnare a comperallo, e cognoscere il buon cinabro. Compera sempre cinabro intero, e non pesto nè macinato. La ragione? chè le più volte si froda o con minio, o con matton pesto. Guarda la pezza intera del cinabro; e dove è in maggiore altezza il tiglio, più disteso e dilicato, questo è il migliore. Allora questo metti in su la pria detta di sopra, macinandolo con acqua chiara, quanto più puoi; che se il macinassi ogni dì persino a venti anni, sempre sarebbe migliore e più perfetto. Questo colore richiede più tempere, secondo i luoghi dove l’hai ad operare, che più innanzi ne tratteremo, ed avviserotti dove è più suo luogo. Ma tieni a mente, che la natura sua non è di vedere aria, ma più sostiene in tavola che in muro; perocchè per lunghezza di tempo, stando all’aria, vien nero quando è lavorato e messo in muro.
Capitolo XLI
Cap. XLI – Della natura di uno rosso il quale è chiamato minio.
Rosso è un colore che si chiama minio, il quale è artificiato per archimia. Questo colore è solo buono a lavorare in tavola, che se l’adoperi in muro, come vede l’aria subito diventa nero, e perde suo colore.
Capitolo XLII
Cap. XLII – Della natura di un rosso ch’è chiamato amatisto, o ver amatito.
Rosso è un colore che si chiama amatito. Questo colore è naturale, ed è prieta fortissima e soda. Ed è tanto soda e perfetta, che se ne fa priete e dentelli da brunire oro in tavola; le quali vengono di colore nero e perfetto, bruno come un diamante. La prieta pura è di color di pagonazzo, o ver morello, ed ha un tiglio come cinabro. Pesta prima questa tal prieta in mortaio di bronzo, perchè, rompendola in su la tua proferitica prieta, si potrebbe spezzare; e quando l’hai pesta, mettine quella quantità che vuoi triare in su la pietra, e macina con acqua chiara; e quanto più la trii, più vien migliore e più perfetto colore. Questo colore è buono in muro a lavorare in fresco; e fatti un color cardinalesco, o ver pagonazzo, o ver un color di lacca. Volerlo adoperare in altre cose, o con tempere, non è buono.
Capitolo XLIII
Cap. XLIII – Della natura di un rosso ch’è chiamato sangue di dragone.
Rosso è un colore che si chiama sangue di dragone. Questo color alcune volte si adopera in carte, cioè in miniare. Lascialo pur stare, e non te ne curar troppo, chè non è di condizione da farti molto onore.
Capitolo XLIV
Cap. XLIV – Della natura di un rosso il quale vien chiamato lacca.
Rosso è un colore che si chiama lacca, la quale è colore artifiziato. Ve n’è più ricette; ma io ti consiglio per lo tuo denaro togli i color fatti, per amor delle pratiche; ma guarda di cognoscer la buona, perocchè ce n’è di più ragioni. Si fa lacca di cimatura di drappo, o ver di panno, ed è molto bella all’occhio. Di questa ti guarda, però che ella ritiene sempre in sè grassezza, per cagione dell’allume, e non dura niente nè con tempere nè sanza tempere, e di subito perde suo colore. Guardatene bene di questa. Ma togli lacca la qual si lavora di gomma, ed è asciutta, magra, granellosa che quasi par terra, e tien colore sanguineo. Questa non può essere altro che buona e perfetta. Togli questa, e triala in su la tua pría; macinala con acqua chiara, ed è buona in tavola. Ed anche s’adopera in muro con tempera; ma l’aria è sua nimica. Alcuni son che la triano con orina; ma vien dispiacevole, perchè subito puzza.
Capitolo XLV
Cap. XLV – Della natura di un color giallo ch’è chiamato ocria.
Giallo è un color naturale, il quale si chiama ocria. Questo colore si trova in terra di montagna, là ove si trovano certe vene come di zolfore; e là ov’è queste vene, vi si trova della sinopia, del verdeterra, e di altre maniere di colori. Vi trovai questo, essendo guidato un dì per Andrea Cennini mio padre, menandomi per lo terreno di Colle di Valdelsa, presso a’ confini di Casole, nel principio della selva del comune di Colle, di sopra a una villa che si chiama Dometaría. E pervegnendo in uno vallicello, in una grotta molta salvatica, e raschiando la grotta con una zappa, io vidi vene di più ragioni colori: cioè ocria, sinopia scura e chiara, azzurro e bianco, che ’l tenni il maggior miracolo del mondo, che bianco possa essere di vena terrigna; ricordandoti che io ne feci la prova di questo bianco, e trova’lo grasso, che non è da incarnazione. Ancora in nel detto luogo era vena di color negro. E dimostravansi i predetti colori per questo terreno, si come si dimostra una margine nel viso di uno uomo, o di donna.
Ritornando al colore dell’ocria, andai col coltellino di dietro cercando alla margine di questo colore; e sì t’imprometto che mai non gustai il più bello e perfetto colore di ocria. Rispondeva non tanto chiaro quanto è giallorino; poco più scuretto; ma in capellatura, in vestimenti, come per lo innanzi ti farò sperto, mai miglior colore trovai di questo color d’ocria. È di due nature, chiaro e scuro. Ciascuno colore vuole un medesimo modo di triarlo con acqua chiara, e triarlo assai; chè sempre vien più perfetto. E sappi che quest’ocria è un comunal colore, spezialmente a lavorare in fresco, che con altre mescolanze; che, come ti dichiarerò, si adopera in incarnazioni, in vestiri, in montagne colorite, e casamenti, e cavelliere, e generalmente in molte cose. E questo colore di sua natura è grasso.
Capitolo XLVI
Cap. XLVI – Della natura di un color giallo ch’è chiamato giallorino.
Giallo è un colore che si chiama giallorino, el quale è artificiato, ed è molto sodo. È grieve come prieta, e duro da spezzare. Questo colore si adopera in fresco, e dura sempre, cioè in muro e in tavola con tempere. Questo colore vuol essere macinato, sì come gli altri predetti, con acqua chiara. Non molto vuol essere triato; e innanzi che il trii, perchè è molto malagevole a ridurlo in polvere, convienti per mortaro di bronzo pestarlo, sì come de’ fare del lapis amatito. Ed è, quando l’hai mettudo in opera, color molto vago in giallo: chè di questo colore con altre mescolanze, come ti dimostrerò, se ne fa di belle verdure e color d’erbe. E sì mi do a intendere che questo colore sia propia prieta, nata in luogo di grandi arsure di montagne: però ti dico sia color artificiato, ma non di archimia.
Capitolo XLVII
Cap. XLVII – Della natura di un giallo ch’è chiamato orpimento.
Giallo è un colore che si chiama orpimento. Questo tal colore è artificiato, e fatto d’archimia, ed è propio tosco. Ed è di color più vago giallo; ed è simigliante all’oro, che color che sia. A lavorare in muro non è buono, nè in fresco nè con tempere, però che viene negro come vede l’aria. È buono molto a dipignere in palvesi e in lancie. Di questo colore mescolando con indaco baccadeo, fa color verde da erbe e da verdure. La sua tempera non vuol d’altro che di colla. Di questo colore si medicina gli sparvieri da certa malattia che vien loro. El detto colore è da prima il più rigido colore da triarlo, che sia nell’arte nostra. E però quando il vuo’ triarlo, metti quella quantità che vuoi in su la tua prieta; e con quella che tieni in mano, va’ a poco a poco lusingandolo a stringerlo dall’una pietra all’altra, mescolandovi un po’ di vetro di migliuòlo, perchè la polvere del vetro va ritraendo l’orpimento al greggio della pietra. Quando l’hai spolverato, mettivi su dell’acqua chiara, e trialo quanto puoi; che se ’l triassi dieci anni, sempre è più perfetto. Guardati da imbrattartene la bocca, che non ne riceva danno alla persona.
Capitolo XLVIII
Cap. XLVIII – Della natura d’un giallo ch’è chiamato risalgallo.
Giallo è un colore giallo che si chiama risalgallo. Questo colore è tossico proprio. Non si adopera per noi se none alcuna volta in tavola. Non è da tenere suo’ compagnia. Volendolo triarlo, tieni di quelli modi che detto ti ho degli altri colori. Vuole essere macinato assai con acqua chiara; e guardati la persona.
Capitolo XLVIX
Cap. XLIX – Della natura di un giallo che si chiama zafferano.
Giallo è un colore che si fa di una spezia che ha nome zafferano. Convienti metterlo in su pezza lina, in su pria o ver mattone caldo; poi abbi mezzo miuolo, o ver bicchieri, di lisciva ben forte. Mettivi dentro questo zafferano; trialo in su la priea. Viene colore bello da tignere panno lino, o ver tela. È buono in carta. E guardi non vegga l’aria, chè subito perde suo colore. E se vuoi fare un colore il più perfetto che si truova in color d’erba, togli un poco di verderame e di zafferano; cioè, delle tre parti l’una zafferano; e viene il più perfetto verde in color d’erba che si trovi, temperato con un poco di colla, come innanzi ti mosterrò.
Capitolo L
Cap. L – Della natura d’un giallo che si chiama árzica.
Giallo è un colore che s’chiama árzica; il qual colore è archimiato, e poco si usa. Il più che si appartenga di lavorar di questo colore, si è a’ miniatori, e usasi più in verso Firenze che in altro luogo. Questo è color sottilissimo; perde all’aria; non è buono in muro; in tavola è buono. Mescolando un poco d’azzurro della Magna e giallorino, fa bel verde. Vuolsi macinare, come gli altri colori gentili, con acqua chiara.
Capitolo LI
Capitolo LI – Della natura di un verde il quale è chiamato verde terra.
Verde è un color naturale di terra, il quale si chiama verdeterra. Questo colore ha più proprietà: prima, ch’egli è grassissimo colore, e buono a lavorare in visi, in vestiri, in casamenti, in fresco, in secco, in muro, in tavola, e dove vuoi. Trialo a modo degli altri colori detti di sopra, con acqua chiara; e quanto più il trii, tanto è migliore. E temperandolo, sì come ti mosterrò il bolo da mettere di oro, così medesimamente puoi mettere d’oro con questo verdeterra. E sappi che gli antichi non usavano di mettere d’oro in tavola altro che con questo verde.
Capitolo LII
Cap. LII – Della natura d’un verde che si chiama verde azzurro.
Verde è un colore el quale è mezzo naturale: e questo si fa artifizialmente, chè si fa d’azzurro della Magna; e questo si chiama verde azzurro. Non ti metto come si fa, ma compera del fatto. Questo colore è buono in secco, con tempera di rossume d’uovo, da fare arbori e verdure e da campeggiare; e chiareggialo con giallorino. Questo colore per se medesimo è grossetto, e par come sabbionino. Per amor dell’azzurro trialo poco poco, colla man leggiera; però che se troppo il macinassi, verrebbe in colore stinto e cenderaccio. Vuolsi triarlo con acqua chiara; e quando l’hai triato, mettilo nel vasello dell’acqua chiara sopra il detto colore, e rimescola bene l’acqua col colore. Poi el lascia posare per ispazio di una ora, o due, o tre; e butta via l’acqua; e ’l verde riman più bello. E lavalo per questa forma due o tre volte, e sarà più bello.
Capitolo LIII
Cap. LIII – Del modo come si fa un verde di orpimento e d’indaco.
Verde è un colore el quale si fa d’orpimento le due parti, e una parte indaco; e triasi bene insieme con acqua chiara. Questo colore è buono a dipignere palvesi e lancie, e anche si adopera a dipignere camere in secco. Non vuole tempera se non colla.
Capitolo LIV
Cap. LIV – Del modo come si fa un verde d’azzurro e giallorino.
Verde è un colore che si chiama azzurro della Magna, e giallorino. Questo è buono in muro e in tavola, e temperato con rossume d’uovo. Se vuoi che sia bello più, mettivi dentro una poca d’árzica. E ancora è bel colore mettendovi entro l’azzurro della Magna, pestando le prugnole salvatiche, e farne agresto, e di quello agresto metterne quattro o sei gocciole sopra il detto azzurro; ed è un bel verde; non vuole vedere aria. E per ispazio di tempo quell’acqua delle prugnole viene a mancare.
Capitolo LV
Cap. LV – Del modo da fare un verde d’azzurro oltramarino.
Verde è un colore che si fa d’azzurro oltramarino e d’orpimento. Convienti di questi colori rimescolare con senno. Piglia l’orpimento prima, e mescolavi dell’azzurro. Se vuoi che penda in chiaro, l’orpimento vinca; se vuoi che penda in iscuro, l’azzurro vinca. Questo colore è buono in tavola, e none in muro. Tempera con colla.
Capitolo LVI
Cap. LVI – Della natura di un verde che si chiama verderame.
Verde è un colore il quale si chiama verderame. Per se medesimo è verde assai; ed è artificiato con archimia, cioè di rame e di aceto. Questo colore è buono in tavola, temperato con colla. Guarda di none avvicinarlo mai con biacca, perchè in tutto sono inimici mortali. Trialo con aceto, che ritiene secondo suo’ natura. E se vuoi fare un verde in erba perfettissimo, è bello all’occhio, ma non dura. Ed è buono più in carta o bambagina o pecorina, temperato con rossume d’uovo.
Capitolo LVII
Cap. LVII – Come si fa un verde di biacca e verdeterra, o vuoi bianco sangiovanni.
Verde è un colore di salvia, il quale si fa mischiato di biacca e verdeterra, in tavola, temperato con rossume d’uovo; o vuoi in muro, in fresco, mescolato el verdeterra con bianco sangiovanni, fatto di calcina bianca e curata.
Capitolo LVIII
Cap. LVIII – Della natura del bianco sangiovanni.
Bianco è un colore naturale, ma bene è artificiato; el quale si fa per questo modo. Togli la calcina sfiorata, ben bianca; mettila spolverata in uno mastello per ispazio di dì otto, rimutando ogni dì acqua chiara, e rimescolando ben la calcina e l’acqua, acciò che ne butti fuori ogni grassezza. Poi ne fa’ panetti piccoli, mettili al sole su per li tetti; e quanto più antichi son questi panetti, tanto più è migliore bianco. Se ’l vuoi far presto e buono, quando i panetti son secchi, triali in su la tua pría con acqua, e poi ne fa’ panetti, e riseccali; e fa’ così due volte, e vedrai come sarà perfetto bianco. Questo bianco si tria con acqua, e vuole essere bene macinato. È buono da lavorare in fresco, cioè in muro, senza tempera; e sanza questo non puoi fare niente, come d’incarnazione, ed altri mescolamenti degli altri colori che si fa in muro, cioè in fresco; e mai non vuole tempera nessuna.
Capitolo LIX
Cap. LIX – Della natura della biacca.
Bianco è un colore archimiato di piombo, el quale si chiama biacca. Questa biacca è forte, focosa, ed è a panetti, come mugliòli, o ver bicchieri. E se vuoi cognoscere quella ch’è più fine, togli sempre di quella di sopra della forma sua, che è a modo d’una tazza. Questo colore quanto più il macini, tanto è più perfetto, ed è buono in tavola. Ben si adopera in muro: guardatene quanto puoi, chè per ispazio di tempo vien nera. Macinasi con acqua chiara; soffera ogni tempera, ed è tutta tuo’ guida in ischiarare ogni colore in tavola, come ti fa il bianco in muro.
Capitolo LX
Cap. LX – Della natura dell’azzurro della Magna.
Azzurro della Magna è un colore naturale, el quale sta intorno e circunda la vena dell’ariento. Nasce molto in nella Magna, e ancora in quel di Siena. Ben è vero, che con arte, o ver pastello, si vuole ridurre a perfezione. Di questo azzurro, quando tu hai a campeggiare, si vuole triare poco poco e leggermente con acqua, perchè è forte sdegnoso della prieta. Se ’l vuoi per lavorarlo in vestiri, o per farne verde, come indietro t’ho detto, vuolsi triarlo più. Questo è buono in muro, in secco, e in tavola. Soffera tempera di rossume d’uovo, e di colla, e di ciò che vuoi.
Capitolo LXI
Cap. LXI – A contraffare di più colori simiglianti all’azzurro della Magna.
Azzurro che è come sbiadato, e simigliante ad azzurro, sic: togli indaco baccadeo, e trialo perfettissimamente con acqua; e mescola con esso un poco di biacca, in tavola; e in muro, un poco di bianco sangiovanni. Torna simigliante ad azzurro. Vuole essere temperato con colla.
Capitolo LXII
Cap. LXII – Della natura e modo a fare dell’azzurro oltramarino.
Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori; del quale non se ne potrebbe nè dire nè fare quello che non ne sia più. E per la sua eccellenza ne voglio parlare largo, e dimostrarti appieno come si fa. E attendici bene, però che ne porterai grande onore e utile. E di quel colore, con l’oro insieme (il quale fiorisce tutti i lavori di nostr’arte), o vuoi in muro, o vuoi in tavola, ogni cosa risprende.
Prima, togli lapis lazzari. E se vuoi cognoscere la buona pietra, togli quella che vedi sia più piena di colore azzurro, però che ella è mischiata tutta come cenere. Quella che tiene meno colore di questa cenere, quella è migliore. Ma guar’ti che non fusse pietra d’azzurro della Magna, che mostra molto bella all’occhio, che pare uno smalto. Pestala in mortaio di bronzo coverto, perchè non ti vada via in polvere; poi la metti in su la tua pría profferitica, e triala sanza acqua: poi abbia un tamigio coverto, a modo gli speziali, da tamigiare spezie; e tamigiali e ripestali come, fa per bisogno: e abbi a mente, che quanto la trii più sottile, tanto vien l’azzurro sottile, ma non sì bello e violante e di colore ben nero; chè il sottile è più utile ai miniatori, e da fare vestiri biancheggiati. Quando hai in ordine la detta polvere, togli dagli speziali sei oncie di ragia di pino, tre oncie di mastrice, tre oncie di cera nuova, per ciascuna libra di lapis lazzari. Poni tutte queste cose in un pignattello nuovo, e falle struggere insieme. Poi abbi una pezza bianca di lino, e cola queste cose in una catinella invetriata. Poi abbia una libra di questa polvere di lapis lazzari, e rimescola bene insieme ogni cosa, e fanne un pastello tutto incorporato insieme. E per potere maneggiare il detto pastello, abbi olio di semenza di lino, e sempre tieni bene unte le mani di questo olio. Bisogna che tegni questo cotal pastello per lo men tre dì e tre notti, rimenando ogni dì un pezzo; e abbi a mente, che lo puoi tenere il detto pastello quindici dì, un mese, quanto vuoi. Quando tu ne vuoi trarre l’azzurro fuora, tieni questo modo. Fa’ due bastoni d’un’asta forte, nè troppo grossa, nè troppo sottile; e sieno lunghi ciascuno un piè, e fa’ che sieno ben ritondi da capo e da piè, e puliti bene. E poi abbi il tuo pastello dentro nella catinella invetriata, dove l’hai tenuto; e mettivi dentro presso a una scodella di lisciva calda temperatamente; e con questi due bastoni, da catuna mano il suo, rivolgi e struca e mazzica questo pastello in qua e in là, a modo che con mano si rimena la pasta da fare pane, propriamente in quel modo. Come hai fatto che vedi la lisciva essere perfetta azzurra, trannela fuora in una scodella invetriata; poi togli altrettanta lisciva, e mettila sopra il detto pastello, e rimena con detti bastoni a modo di prima. Quando la lisciva è ben tornata azzurra, mettila sopra un’altra scodella invetriata, e rimetti in sul pastello altrettanta lisciva, e ripriemi a modo usato. E quando la lisciva è bene azzurra, mettila in su un’altra scodella invetriata: e per lo simile fa’ così parecchi dì, tanto che il pastello rimanga che non tinga la lisciva; e buttalo poi via, chè non è più buono. Poi ti reca dinanzi da te in su una tavola per ordine tutte queste scodelle, cioè prima, seconda, terza, quarta tratta, per ordine seguitando ciascuna: rimescola con mano la lisciva con l’azzurro che, per gravezza del detto azzurro, sarà andato al fondo; e allora cognoscerai le tratte del detto azzurro. Diliberati in te medesimo di quante ragioni tu vuoi azzurri, di tre, o di quattro, o di sei, e di quante ragioni tu vuoi: avvisandoti che le prime tratte sono migliori, come la prima scodella è migliore che la seconda. E così se hai diciotto scodelle di tratte, e tu voglia fare tre maniere d’azzurro, fa’ che tocchi sei scodelle, e mescolale insieme, e riducile in una scodella: e sarà una maniera. E per lo simile delle altre. Ma tieni a mente, che le prime due tratte, se hai buon lapis lazzari, è di valuta questo tale azzurro di ducati otto l’oncia, e le due tratte di dietro è peggio che cendere. Sì che sie pratico nell’occhio tuo di non guastare gli azzurri buoni per li cattivi: e ogni dì rasciuga le dette scodelle delle dette liscive, tanto che gli azzurri si secchino. Quando son ben secchi, secondo le partite che hai, secondo le alluoga in cuoro, o in vesciche, o in borse. E nota, che se la detta pría lapis lazzari non fusse così perfetta, o che avessi triata la detta che l’azzurro non rispondesse violante, t’insegno a dargli un poco di colore. Togli una poca di grana pesta, e un poco di verzino; cuocili insieme; ma fa’ che il verzino o tu ’l grattugia, o tu il radi con vetro; e poi insieme li cuoci con lisciva, e un poco d’allume di rôcca; e quando bogliono, che vedi è perfetto color vermiglio, innanzi ch’abbi tratto l’azzurro della scodella (ma bene asciutto della lisciva), mettivi su un poco di questa grana e verzino; e col dito rimescola bene insieme ogni cosa; e tanto lascia stare, che sia asciutto senza o sole, o fuoco, e senz’aria. Quando il truovi asciutto, mettilo in cuoro o in borsa, e lascialo godere, chè è buono e perfetto. E tiello in te, chè è una singulare virtù a sapello ben fare. E sappi ch’ell’è più arte di belle giovani a farlo, che non è a uomini; perchè elle si stanno di continuo in casa, e ferme, ed hanno le mani più dilicate. Guar’ti pur dalle vecchie. Quando ritorni per volere adoperare del detto azzurro, pigliane quella quantità che ti bisogna: e se hai a lavorare vestiri biancheggiati, vuolsi un poco triare in su la tua pría usata: e se ’l vuoi pur per campeggiare, vuolsi poco poco rimenare sopra la pría, sempre con acqua chiara chiara, bene lavata e netta la pría: e se l’azzurro venisse lordo di niente, piglia un poco di lisciva, o d’acqua chiara, e mettila sopra il vasellino, e rimescola insieme l’uno e l’altro: e questo farai due o tre mute, e sarà l’azzurro bene purgato. Non ti tratto delle sue tempere, però che insieme più innanzi ti mosterrò di tutte le tempere di ciascuni colori in tavola, in muro, in ferro, in carta, in pietra, e in vetro.
Capitolo LXIII
Cap. LXIII – Com’è di bisogno sapere fare i pennelli.
Perchè detto ho nominatamente di tutti i colori che con pennello si adoperano, e come si triano (i quali colori sempre vogliono stare in una cassetta ben coverta, col becco sempre in molle, e bagnati); ora ti voglio dimostrare ad operarli con tempera e senza tempera. Ma el ti fa pur bisogno saper a che modo gli puoi mettere in overa; chè non si può fare senza pennelli. Onde lasciamo stare ogni cosa; e fa’ prima che sappi fare i detti pennelli, de’ quali si tiene questo modo.
Capitolo LXIV
Cap. LXIV – In che modo si fa pennelli di vaio.
Nell’arte è di bisogno adoperare due ragioni di pennelli: cioè pennelli di vaio, e pennelli di setole di porco. Quelli di vaio si fanno per questo modo. Togli códole di vaio (chè di nessun altro son buone); e queste códole vogliono essere cotte e non crude. E i vaiai tel diranno. Abbi questa tal coda: prima tirane fuori la punta, che sono peli lunghi; e asuna le punte di più code, chè da sei o otto punte ti farà un pennello morbido da potere mettere d’oro in tavola, cioè bagnare con esso, come dinanzi ti mosterrò. Ritorna pure alla tua coda, e recatela in mano: e togli i peli del mezzo della coda, i più diritti e più sodi, e a poco a poco ne fa’ cotali particelle; e bagnali in uno mugliuolo di acqua chiara, e a particella a particella gli premi e strigni con le dita. Poi gli taglia con forbicine; e quando ne hai fatto più e più parti, asunane insieme tante, che facci di quella grossezza che vuoi i pennelli; tali che vada in bucciuolo di avvoltoio; tali che vada in bucciuolo di oca; tali che vada in bucciuolo di penna di gallina o di colombo. Quando hai fatte queste sorte, mettendole insieme ben gualive l’una punta pari dell’altra, togli filo o seta incerata, e con due groppi, o ver nodi, legale bene insieme, ciascuna sorta per sè, secondo vuoi grossi i pennelli. Poi togli il tuo bucciuolo di penna corrispondente alla quantità legata de’ peli, e fa’ che il bucciuolo sia aperto, o ver tagliato da capo; e metti questi peli legati su per lo detto cannello, o vero bucciuolo. Tanto fa’, che n’esca fuora, delle dette punte, quanto puoi premerle di fuora, acciò che il pennello venga sodetto; che quanto vien più sodo e più corto, tanto è migliore e più dilicato lavorìo fa. Fa’ poi un’asticciuola d’árgiere, o di castagno, o d’altro legno buono; e falla pulita, netta, ritratta in forma di un fuso, di quella grossezza che vada a stretto nel detto cannello, e fa’ che sia lunga una spanna. E hai come si dee fare il pennello di vaio. È vero che i pennelli di vaio vogliono essere di più ragioni: sì come da mettere d’oro; sì come lavorare di piatto, che vuole essere un poco mozzetto colle forbicine, e arrotato un poco in sulla pría proferitica, tanto che si dimestichi un poco; tale pennello vuole essere appuntato con perfetta punta per profilare; e tale vuol essere piccinin piccinin, per certi lavori e figurette ben piccole.
Capitolo LXV
Cap. LXV – Come e in che modo dèi fare i pennelli di setole.
I pennelli di setole si fanno in questa forma. Prima togli setole di porco bianco, che sono migliori che le negre (ma fa’ che sieno di porco dimestico); e fanne un pennello grosso, dove vada una libra delle dette setole, e legalo a un’asta grossetta, con groppo o ver nodo di bómare, o ver versuro. E questo tale pennello si vuole dirozzarlo a imbiancare muri, a bagnare muri dove hai a smaltare; e dirozzalo tanto, che le dette setole divegnano morbidissime. Poi disfa’ questo cotal pennello, e fanne le sorte come vuoi far d’ogni condizione pennello. E fanne di quelli che le punte sieno ben gualive di ciascuna setola, che si chiamano pennelli mozzi; e di quelli che sieno puntii, d’ogni maniera di grossezza. Poi fa’ asticciuola di quel legname detto di sopra, e lega ciascheduno mazzuolo con filo doppio incerato. Mettivi dentro la punta della detta asticciuola, e va’ legando gualivamente la metà del detto mazzuolo di setole, e poi su per l’asticciuola; e medesimamente fa’ così di tutti.
Capitolo LXVI
Cap. LXVI – El modo di conservare le códole di vaio che non intarmino.
Se vuoi conservare le code di vaio che non s’intarmino e non si pelino, intingile nella terra intrisa, o ver crea. Impastavele bene dentro, e appiccale, e lasciale stare. Quando le vuoi adoperare, o farne pennelli, lavale bene con acqua chiara.
Capitolo LXVII
Cap. LXVII – Il modo e ordine a lavorare in muro, cioè in fresco, e di colorire o incarnare viso giovenile.
Col nome della santissima Trinità ti voglio mettere al colorire.
Principalmente comincio a lavorare in muro, del quale t’informo che modi dèi tenere a passo a passo. Quando vuoi lavorare in muro (ch’è ’l più dolce e il più vago lavorare che sia), prima abbi calcina e sabbione, tamigiata bene l’una e l’altra. E se la calcina è ben grassa e fresca, richiede le due parti sabbione, la terza parte calcina. E intridili bene insieme con acqua, e tanta ne intridi, che ti duri quindici dì o venti. E lasciala riposare qualche dì, tanto che n’esca il fuoco: chè quando è così focosa, scoppia poi lo ’ntonaco che fai. Quando se’ per ismaltare, spazza bene prima il muro, e bagnalo bene, chè non può essere troppo bagnato; e togli la calcina tua ben rimenata a cazzuola a cazzuola; e smalta prima una volta o due, tanto che vegna piano lo ’ntonaco sopra il muro. Poi, quando vuoi lavorare, abbi prima a mente di fare questo smalto bene arricciato, e un poco rasposo. Poi, secondo la storia o figura che de’ fare, se lo intonaco è secco, togli il carbone, e disegna, e componi, e cogli bene ogni tuo’ misura, battendo prima alcun filo, pigliando i mezzi degli spazi. Poi batterne alcuno, e coglierne i piani. E a questo che batti per lo mezzo, a cogliere il piano, vuole essere uno piombino da piè del filo. E poi metti il sesto grande, l’una punta in sul detto filo: e volgi il sesto mezzo tondo dal lato di sotto; poi metti la punta del sesto in sulla croce del mezzo dell’un filo e dell’altro, e fa’ l’altro mezzo tondo dal lato di sopra, e troverrai che dalla man diritta hai, per gli fili che si scontrano, fatto una crocetta. Per costante, dalla man zanca metti il filo da battere, che dia propio in su tuttadue le crocette: e troverai il tuo filo essere piano a livello. Poi componi col carbone, come detto ho, storie o figure; e guida i tuo’ spazj sempre gualivi, o uguali. Poi piglia un pennello piccolo e pontío di setole, con un poco d’ocria, senza tempera, liquida come acqua; e va’ ritraendo e disegnando le tue figure, aombrando come arai fatto con acquerelle quando imparavi a disegnare. Poi togli un mazzo di penne, e spazza bene il disegno del carbone.
Poi togli un poco di sinopia senza tempera, e col pennello puntío sottile va’ tratteggiando nasi, occhi e capellature, e tutte stremità e intorni di figure; e fa’ che queste figure sieno bene compartite con ogni misura, perchè queste ti fanno cognoscere e provedere delle figure che hai a colorire. Poi fa’ prima i tuoi fregi, o altre cose che voglia fare d’attorno, e come a te convien torre della calcina predetta, ben rimenata con zappa e con cazzuola, per ordine che paia unguento. Poi considera in te medesimo quanto il dì puoi lavorare; chè quello che smalti, ti convien finire in quel dì. È vero che alcuna volta di verno, a tempo di umido, lavorando in muro di pietra, alcuna volta sostiene lo smalto fresco in nell’altro dì. Ma, se puoi, non t’indugiare; perchè il lavorare in fresco, cioè di quel dì, è la più forte tempera e migliore, e ’l più dilettevole lavorare che si faccia. Adunque smalta un pezzo d’intonaco sottiletto (e non troppo) e ben piano, bagnando prima lo ’ntonaco vecchio. Poi abbi il tuo pennello di setole grosse in mano, intingilo nell’acqua chiara; battilo e bagna sopra il tuo smalto; e al tondo, con un’assicella di larghezza di una palma di mano, va’ fregando su per lo ’ntonaco ben bagnato, acciò che l’assicella predetta sia donna di levare dove fosse troppa calcina, o porre dove ne mancasse, e spianare bene il tuo smalto. Poi bagna il detto smalto col detto pennello, se bisogno n’ha; e colla punta della tua cazzuola, ben piana e ben pulita, la va’ fregando su per lo intonaco. Poi batti le tuo’ fila dell’ordine, e misura lo prima fatto allo ’ntonaco di sotto. E facciamo ragione che abbi a fare per dì solo una testa di santa o di santo giovane, sì come è quella di Nostra Donna santissima. Come hai pulita così la calcina del tuo smalto, abbi uno vasellino invetriato; chè tutti i vaselli vogliono essere invetriati, ritratti come il migliuolo o ver bicchiero, e voglion avere buono e grave sedere di sotto, acciò che riseggano bene che non si spandessero i colori. Togli quanto una fava d’ocria scura (chè sono di due ragioni ocrie, chiare e scure); e se non hai della scura, togli della chiara macinata bene. Mettila nel detto tuo vasellino, e togli un poco di nero, quanto fusse una lente; mescola colla detta ocria. Togli un poco di bianco sangiovanni, quanto una terza fava; togli quanto una punta di coltellino di cinabrese chiara; mescola con li predetti i colori tutti insieme per ragioni, e fa’ il detto colore corrente e liquido con acqua chiara, senza tempera. Fa’ un pennello sottile acuto di setole liquide e sottili,che entrino su per uno bucciuolo di penna d’oca; e con questo pennello atteggia il viso che vuoi fare (ricordandoti che divida il viso in tre parti, cioè la testa, il naso, il mento con la bocca), e da’ col tuo pennello a poco a poco, squasi asciutto, di questo colore, che si chiama a Firenze verdaccio, a Siena bazzèo. Quando hai dato la forma del tuo viso, e ti paresse o in le misure, o come si fosse, che non rispondesse secondo che a te paresse; col pennello grosso di setole, intinto nell’acqua, fregando su per lo detto intonaco, puoi guastarlo e rimendarlo. Poi abbi un poco di verdeterra ben liquido, in un altro vasello; e con pennello di setole, mozzo, premuto col dito grosso e col lungo della man zanca, va’ e comincia a ombrare sotto il mento, e più dalla parte dove dee essere più scuro il viso, andando ritrovando sotto il labbro della bocca, e in nelle prode della bocca, sotto il naso; e dal lato sotto le ciglia, forte verso il naso; un poco nella fine dell’occhio verso le orecchie: e così con sentimento ricercare tutto ’l viso e le mani dove ha essere incarnazione. Poi abbi un pennello aguzzo di vaio, e va’ rifermando bene ogni contorno (naso, occhi, labbri, e orecchie), di questo verdaccio. Alcuni maestri sono che adesso, stando il viso in questa forma, tolgono un poco di bianco sangiovanni, stemperato con acqua; e vanno cercando le sommità e rilievi del detto volto, bene per ordine; poi danno una rossetta ne’ labbri e nelle gote cotali meluzzine; poi vanno sopra con un poco d’acquerella, cioè incarnazione, bene liquida; e rimane colorito. Toccandolo poi sopra i rilievi d’un poco di bianco, è buon modo. Alcuni campeggiano il volto d’incarnazione, prima; poi vanno ritrovando con un poco di verdaccio e incarnazione, toccandolo con alcuno bianchetto: e riman fatto. Questo è un modo di quelli che sanno poco dell’arte: ma tieni questo modo, di ciò che ti dimosterrò del colorire; però che Giotto, il gran maestro, tenea così. Lui ebbe per suo discepolo Taddeo Gaddi fiorentino anni ventiquattro; ed era suo figlioccio; Taddeo ebbe Agnolo suo figliuolo; Agnolo ebbe me anni dodici: onde mi mise in questo modo del colorire; el quale Agnolo colorì molto più vago e fresco che non fe Taddeo suo padre.
Prima abbia un vasellino: mettivi dentro, piccola cosa che basta, d’un poco di bianco sangiovanni, e un poco di cinabrese chiara, squasi tanto dell’uno quanto dell’altro. Con acqua chiara stempera ben liquidetto; con pennello di setole morbido, e ben premuto con le dita, detto di sopra, va’ sopra il tuo viso, quando l’hai lasciato tocco di verdeterra, e con questa rossetta tocca i labbri, e le meluzze delle gote. El mio maestro usava ponere queste meluzze più in ver le orecchie che verso il naso, perchè aiutano a dare rilievo al viso; e sfummava le dette meluzze d’attorno. Poi abbi tre vasellini, i quali dividi in tre parti d’incarnazione; che la più scura, sia per la metà più chiara che la rossetta; e l’altre due di grado in grado più chiara l’una che l’altra. Or piglia il vasellino della più chiara, e con pennello di setole ben morbido, mozzetto, togli della detta incarnazione, con le dita premendo il pennello; e va’ ritrovando tutti i rilievi del detto viso. Poi piglia il vasellino della incarnazione mezzana, e va’ ricercando tutti i mezzi del detto viso, e mani e pie’ e imbusto, quando fai uno ignudo. Togli poi il vasellino della terza incarnazione, e va’ nella stremità dell’ombre, lasciando sempre, in nella stremità, che ’l detto verdeterra non perda suo credito; e per questo modo va’ più volte sfumando l’una incarnazione con l’altra, tanto che rimanga bene campeggiato, secondo che natura ’l promette. Guar’ti bene, se vuoi che la tua opera gitti ben fresca, fa’ che col tuo pennello non eschi di suo luogo ad ogni condizione d’incarnazione, se non con bella arte commettere gentilmente l’una con l’altra. Ma veggendo tu lavorare, e praticare la mano, ti farebbe più avidente che vederlo per iscrittura. Quando hai date le tue incarnazioni, fanne un’altra molto più chiara, squasi bianca; e va’ con essa su per le ciglia, su per lo rilievo del naso, su per la sommità del mento e del coverchio dell’orecchio. Poi togli un pennello di vaio, acuto; e con bianco puro fa’ i bianchi delli occhi, e in su la punta del naso, e un pochettino dalla proda della bocca, e tocca cotali rilievuzzi, gentili. Poi abbia un poco di negro in altro vasellino, e con detto pennello profila il contorno delli occhi sopra le luci delli occhi; e fa’ le nari del naso, e buchi dentro dell’orecchie. Poi togli in un vasellino un poco di sinopia scura, profila gli occhi di sotto, il naso d’intorno, le ciglia, la bocca; e ombra un poco sotto il labbro di sopra, che vuole pendere un poco più scuretto che il labbro di sotto. Innanzi che profili così i dintorni, togli il detto pennello, col verdaccio va’ ritoccando le capellature; poi col detto pennello con bianco va’ trovando le dette capellature; poi piglia un’acquarella di ocria chiara; va’ ricoprendo le dette capellature con pennello mozzo di setole, come incarnassi. Va’ poi col detto pennello ritrovando le stremità con ocria scura; poi va’ con un pennelletto di vaio, acuto, e con ocria chiara e bianco sangiovanni, ritrovando i rilievi della capellatura. Poi col profilare della sinopia va’ ritrovando i contorni e le stremità della capellatura, come hai fatto il viso, per tutto. E questo ti basti a un viso giovane.
Capitolo LXVIII
Cap. LXVIII – Il modo di colorire un viso vecchio in fresco.
Quando vuoi fare un viso di vecchio, a te conviene usare questo medesimo modo che al giovine; salvo che ’l tuo verdaccio vuole essere più scuretto, e così le incarnazioni; tenendo quel modo e quella pratica c’hai fatto del giovane, e per costante le mani, e piedi, e ’l busto. Mo sia tu, che ’l tuo vecchio abbi capellatura e barba canuta. Quando l’hai trovato di verdaccio e di bianco col tuo pennello di vaio acuto, togli in un vasellino bianco sangiovanni e un poco di negro mescolato, liquido, e con pennello mozzo e morbido di setole, ben premuto, va’ campeggiando barba e capellatura; e poi fa’ di questo miscuglio un poco più scuretto, e vai trovando le scurità. Poi togli un pennelletto di vaio acuto, e va spelando gentilmente su per li rilievi delle dette capellatura e barba. E di questo cotal colore tu puo’ fare il vaio.
Capitolo LXIX
Cap. LXIX – Il modo di colorire più maniere di barbe e di capellature in fresco.
Quando vuoi fare d’altre capellature e d’altre barbe, o sanguigne, o rossette, o negre, o di qual maniera tu vuoi, falle pur prima di verdaccio, e ritrovale di bianco; poi le campeggia all’usato modo detto di sopra. Avvisati pur di qual colore tu vuoi, chè la pratica di vederne delle fatte t’insegnerà.
Capitolo LXX
Cap. LXX – Le misure che dee avere il corpo dell’uomo fatto perfettamente.
Nota che, innanzi più oltre vada, ti voglio dare a littera le misure dell’uomo. Quelle della femmina lascio stare, perchè non ha nessuna perfetta misura. Prima, come ho detto di sopra, il viso è diviso in tre parti: cioè la testa, una; il naso, l’altra; e dal naso al mento, l’altra. Dalla proda del naso per tutta la lunghezza dell’occhio, una di queste misure: dalla fine dell’occhio per fine all’orecchie, una di queste misure: dall’uno orecchio all’altro, un viso per lunghezza: dal mento sotto il gozzo al trovare della gola, una delle tre misure: la gola, lunga una misura: dalla forcella della gola alla sommità dell’omero, un viso; e così dall’altro omero: dall’omero al gomito, un viso: dal gomito al nodo della mano, un viso ed una delle tre misure: la mano tutta per lunghezza, un viso: dalla forcella della gola a quella del magone, o vero stomaco, un viso: dallo stomaco al bellico, un viso: dal bellico al nodo della coscia, un viso: dalla coscia al ginocchio, due visi: dal ginocchio al tallone della gamba, due visi: dal tallone alla pianta, una delle tre misure: il piè, lungo un viso.
Tant’è lungo l’uomo, quanto per il traverso, over le braccia, distenda; le braccia con le mani, per fino a mezza la coscia. È tutto l’uomo lungo otto visi e due delle tre misure. Ha l’uomo, men che la donna, una costola del petto dal lato manco. È in tutto l’uomo ossa….. Dee avere la natura sua, cioè la verga, a quella misura che è piacere delle femmine; siano i suoi testicoli piccoli, di bel modo e freschi. L’uomo bello vuole essere bruno, e la femmina bianca, ec.
Degli animali irrazionali non ti conterò, perchè non n’apparai mai nessuna misura. Ritra’ne e disegna più che puoi del naturale, e proverai. E a ciò fia buona pratica.
Capitolo LXXI
Cap. LXXI – El modo di colorire un vestimento in fresco.
Or ritorniamo pure al nostro colorire in fresco e in muro. Se vuoi colorire un vestire di qual veste tu vuoi, prima ti conviene disegnarlo gentilmente col tuo verdaccio, e che ’l tuo disegno non si vegga molto, ma temperatamente. Poi, o vuoi bianco vestire, o vuoi rosso, o vuoi giallo, o verde, o come tu vuoi, abbi tre vasellini. Pigliane uno, mettivi dentro quel colore che vuoi, diciamo rosso; togli del cinabrese, un poco di bianco sangiovanni: e questo sia l’un colore, ben rimenato con acqua. Gli altri due colori, fanne un chiaro, cioè mettendovi assai bianco sangiovanni. Piglia ora del primo vasello e di questo chiaro, e fa’ un colore di mezzo, e ha’ne tre. Piglia ora il primo, cioè lo scuro, e con pennello di setole, grossetto e un poco puntío, va’ per le pieghe della tua figura ne’ più scuri luoghi, e non passare il mezzo della grossezza della tua figura. Poi piglia il colore di mezzo; va’ campeggiando dall’un tratto scuro all’altro, e commettendoli insieme, e sfummando le tue pieghe nelle stremità delli scuri. Poi va’ pure con questi colori di mezzo a ritrovare le scurità, dove dee essere il rilievo della figura, mantenendo sempre bene lo gnudo. Poi piglia il terzo colore più chiaro, e per quello medesimo modo che hai ritrovato e campeggiato l’andare delle pieghe dello scuro, così fa’ del rilievo, assettando le pieghe con buon disegno e sentimento, con buona pratica. Quando hai campeggiato due o tre volte con ogni colore (non uscendo mai del proposito de’ colori, di non dare nè tòrre il luogo dell’un colore all’altro, se non quando si vengono a congiugnere), sfummali e commetteli bene. Abbi poi in un altro vasello ancora color più chiaro, ch’è ’l più chiaro di questi tre; e va’ ritrovando, e biancheggiando la sommità delle pieghe. Poi togli un altro vasello bianco puro, e va’ ritrovando perfettamente tutti i luoghi di rilievo. Poi va’ con la cinabrese pura, e va’ pe’ luoghi scuri, e per alcuni dintorni; e rimanti il vestire fatto per ordine. Ma veggendo tu lavorare, comprendi meglio assai che per lo leggere. Quando hai fatto la tua figura, o storia, lasciala asciugare tanto, che in tutto sia ben risecca la calcina e i colori; e se in secco ti rimane a fare nessun vestire, terrai questo modo.
Capitolo LXXII
Cap. LXXII – El modo di colorire in muro in secco, e sue tempere.
Ogni colore di quelli che lavori in fresco, puoi anche lavorare in secco; ma in fresco sono colori che non si può lavorare, come orpimento, cinabro, azzurro della Magna, minio, biacca, verderame, e lacca. Quelli che si può lavorare in fresco, sono giallorino, bianco sangiovanni, nero, ocria, cinabrese, sinopia, verdeterra, amatisto. Quelli che si lavorano in fresco vogliono per compagnia, a dichiararli, bianco sangiovanni; e i verdi, quando gli vuoi lasciare per verde, giallorino; quando li vuoi lasciare verdi in colore di salvia, to’ del bianco. Quelli colori che non si possono lavorare in fresco, vogliono per compagnia, a dichiararli, biacca e giallorino, e alcuna volta orpimento; ma rade volte orpimento: mo sia tu; credo che sia superfluo. A lavorare un azzurro biancheggiato, togli quella ragione di tre vaselli, che t’ho insegnato, della incarnazione e della cinabrese; e per lo simile vuol essere di questo, salvo che dove toglievi il bianco, togli la biacca, e tempera ogni cosa. Due maniere di tempere ti son buone, l’una miglior che l’altra. La prima tempera, togli la chiara e rossume dell’uovo, metti dentro alcune tagliature di cime di fico, e ribatti bene insieme; poi metti in su questi vasellini di questa tempera, temperatamente, non troppa nè poca, come sarebbe un vino mezzo innacquato. E poi lavora i tuoi colori o bianco, o verde, o rosso, sì come ti dimostrai in fresco; e conducera’ i tuoi vestiri, secondo in modo che fai in fresco, con temperata mano, aspettando il tempo del rasciugare. Se déssi troppa tempera, abbi che di subito scoppierà il colore, e creperà dal muro. Sia savio, e pratico. Prima ti ricordo, innanzi cominci a colorire, e vogli fare un vestire di lacca, o d’altro colore, prima che facci niun’altra cosa, togli una spugna ben lavata, e abbi un rossume d’uovo con la chiara, e mettilo in due scodelle d’acqua chiara rimescolata bene insieme; e con la detta spugna, mezza premuta, della detta tempera va’ ugualmente sopra tutto il lavoro, che hai a colorire in secco, e ancora adornare d’oro; e poi liberamente va’ a colorire come tu vuoi. La seconda tempera si è propio rossume d’uovo; e sappi che questa tempera è universale, in muro, in tavole, in ferro; e non ne puoi dare troppo, ma sia savio di pigliare una via di mezzo. Prima vadi più innanzi, di questa tempera ti voglio fare un vestire in secco, sì come ti feci in fresco di cinabrese. Ora tel vo’ fare di azzurro oltramarino. Togli tre vaselli al modo usato: nel primo metti le due parti azzurro e ’l terzo biacca: il terzo vasello, le due parti biacca, e ’l terzo azzurro: e rimescola e tempera secondo che detto t’ho. Poi togli il vasello vuoto, cioè il secondo: togli tanto dell’uno vasello quanto dell’altro, e fa’ una conmestizione insieme ben rimenata con pennello di setole, o vuoi di vaio, mozzo e sodo; e col primo colore, cioè col più scuro, va’ per le stremità ritrovando le pieghe più scure. Togli poi il mezzan colore, e va’ campeggiando di quelle pieghe scure, e ritrova le pieghe chiare di rilievo della figura. Poi togli il terzo colore, e va’ campeggiando, e facendo delle pieghe, che vengono sopra il rilievo; e va’ commettendo bene l’un colore con l’altro, sfummando e campeggiando, a modo che t’insegnai in fresco. Poi togli ’l colore più chiaro, e mettivi dentro della biacca con tempera, e va’ ritrovando le sommità delle pieghe del rilievo. Poi togli un poco di biacca pura, e va’ su per certi gran rilievi, come richiede il nudo della figura. Poi va’ con azzurro oltramarino, puro, ritrovando la fine delle più scure pieghe e dintorni; e per questo modo leccando il vestire, secondo i luoghi e suo’ colori, sanza mettere o imbrattare l’un colore coll’altro, se non con dolcezza. E così fa’ di lacca e di ciascun colore che lavori in secco ec.
Capitolo LXXIII
Cap. LXXIII – El modo di sapere fare un color biffo.
Se vuoi fare un bel colore biffo, togli lacca fina, azzurro oltramarino, tanto dell’uno quanto dell’altro, temperato. Poi piglia tre vasellini, a modo di sopra; e lascia stare di questo color biffo nel suo vasellino per ritoccare li scuri. Poi di quello che ne trai, fanne tre ragioni di colori da campeggiare il vestire, digradanti, più chiaro l’uno che l’altro, a modo detto di sopra.
Capitolo LXXIV
Cap. LXXIV – A lavorare un color biffo in fresco.
Se vuoi fare un biffo per lavorare in fresco, togli indaco e amatisto, e mescola sanza tempera a modo di quello di sopra, e fanne in tutto quattro gradi. Poi lavora il tuo vestire.
Capitolo LXXV
Cap. LXXV – A volere contraffare uno azzurro oltramarino lavorandolo in fresco.
Se vuoi fare un vestire in fresco simigliante all’azzurro oltramarino, togli indaco con bianco sangiovanni, e digrada insieme i tuo’ colori: e poi in secco, toccalo nella stremità, di azzurro oltramarino.
Capitolo LXXVI
Cap. LXXVI – A colorire un vestire pagonazzo, o vero morello, in fresco.
Se vuoi fare in fresco un vestire pagonazzo simigliante alla lacca, togli amatisto, bianco sangiovanni, e digrada i tuoi colori a modo detto; e va’gli sfummando, e commettendoli bene insieme. Poi in secco, nelle estremità, toccherai con lacca pura e temperata.
Capitolo LXXVII
Cap. LXXVII – A colorire un vestire cangiante in verde, in fresco.
Se vuoi fare un vestir d’angelo, cangiante, in fresco, campeggia il vestire di due ragioni incarnazione, più scura e più chiara, e sfummale bene per lo mezzo della figura; poi la parte più scura. Aombra lo scuro con azzurro oltramarino; e la incarnazione più chiara ombra con verde terra, ritoccandolo poi in secco. E nota, che ogni cosa che lavori in fresco vuole essere tratto a fine, e ritoccato in secco con tempera. Biancheggia il detto vestire in fresco, all’usanza che t’ho detto degli altri.
Capitolo LXXVIII
Cap. LXXVIII – A colorire un vestire, in fresco, cangiante di cignerognolo.
Se vuoi fare cangiante in fresco, togli bianco sangiovanni e negro, e fa’ un colore di vaio, che si chiama cignerognolo. Campeggialo; biancheggialo qual vuoi di giallorino, e qual di bianco sangiovanni. Da’ gli scuri, o vuoi di nero, o vuoi di biffo, o vuoi di verde scuro.
Capitolo LXXIX
Cap. LXXIX – A colorire un cangiante di lacca, in secco.
Se vuoi fare un cangiante in secco, campeggialo di lacca; biancheggialo d’incarnazione, o vuoi di giallorino; aombra gli scuri, o vuoi di lacca pura, o vuoi di biffo con tempera.
Capitolo LXXX
Cap. LXXX- A colorire un cangiante, in fresco o in secco, d’ocria.
Se vuoi fare un cangiante in fresco o in secco, campeggialo d’ocria, biancheggialo con bianco, e l’aombra di verde, nel chiaro; e nell’oscuro, di negro e di sinopia, o vuoi d’amatisto.
Capitolo LXXXI
Cap. LXXXI – A colorire un vestimento berettino, in fresco o in secco.
Se vuoi fare un vestire berrettino, tolli nero e ocria; cioè le due parti ocria, e il terzo nero; e digrada i colori, come indietro t’ho insegnato, e in fresco e in secco.
Capitolo LXXXII
Cap. LXXXII – A colorire un vestimento, in fresco e in secco, di colore berettino rispondente al colore di legno.
Se vuoi fare un colore di legno, togli ocria, negro, e sinopia; ma le due parti ocria, e negro e rosso per la metà dell’ocria. Digrada i tuoi colori di questo in fresco, in secco, e in tempera.
Capitolo LXXXIII
Cap. LXXXIII – A fare un vestire d’azzurro della Magna, o oltramarino, o mantello di Nostra Donna.
Se vuoi fare un mantello di Nostra Donna d’azzurro della Magna, o altro vestire che voglia fare solo d’azzurro, prima in fresco campeggia il mantello, o ver vestire, di sinopia e di nero; ma le due parti sinopia, e il terzo negro. Ma prima gratta la perfezione delle pieghe con qualche punteruolo di ferro, o agugiella; poi in secco togli azzurro della Magna lavato bene, o vuoi con lisciva, o vuoi con acqua chiara, e rimenato un poco poco in su la pría da triare. Poi, se l’azzurro è di buon colore e pieno, mettivi dentro un poco di colla stemperata, nè troppo forte, nè troppo lena, che più innanzi te ne parlerò. Ancora metti nel detto azzurro un rossume d’uovo; ma se l’azzurro fosse chiaretto, vuole essere il rossume di questi uovi della villa, che sono bene rossi. Rimescola bene insieme, con pennello di setole morbido: ne da’ tre o quattro volte sopra il detto vestire. Quando l’hai ben campeggiato, e che sia asciutto, togli un poco d’indaco e di negro, e va’ aombrando le pieghe per lo mantello, il più che puoi; pur di punta ritornando più e più fiate in su le ombre. Se vuoi in su’ dossi delle ginocchia, o altri rilievi biancheggiare un poco, gratta l’azzurro puro con la punta dell’asta del pennello. Se vuoi mettere in campo, o in vestire, azzurro oltramarino, temperalo all’usato modo detto di quello della Magna, e sopra quello danne due o tre volte. Se vuoi aombrare le pieghe, togli un poco di lacca fina, e un poco di negro temperato con rossume d’uovo. E aombralo gentile quanto puoi, e più nettamente; prima con poca di quella, e poi di punta, e fa’ men pieghe che puoi, perchè l’azzurro oltramarino vuol poca vicinanza d’altro miscuglio.
Capitolo LXXXIV
Cap. LXXXIV – A fare un vestire negro di abito di monaco o di frate, in fresco o in secco.
Se vuoi fare un vestire negro d’abito di frate o di monaco, togli il nero puro, digradandolo di più ragioni, come prima ho detto di sopra, in fresco, in secco, temperato.
Capitolo LXXXV
Cap. LXXXV – Del modo di colorire una montagna in fresco o in secco.
Se vuoi fare montagne in fresco e in secco, fa’ un colore verdaccio, di negro una parte, d’ocria le due parti. Digrada i colori, in fresco, di bianco senza tempera; e in secco, con biacca e con tempera; e dà’ loro quella ragione, che dai a una figura di scuro o di rilievo. E quando hai a fare le montagne, che paiano più a lungi, più fai scuri i tuo’ colori; e quando le fai dimostrare più appresso, fa’ i colori più chiari.
Capitolo LXXXVI
Capitolo LXXXVI – Il modo di colorire albori, ed erbe, e verdure, in fresco e in secco.
Se vuoi adornare le dette montagne di boschi d’arbori o d’erbe, metti prima il corpo dell’albero di nero puro, temperato, chè in fresco mal si possono fare; e poi fa’ un grado di foglie di verde scuro, o pur di verde azzurro, chè di verdeterra non è buono; e fa’ che le lavori bene e spesse. Poi fa’ un verde con giallorino, che sia più chiaretto; e fa’ delle foglie meno, cominciando a ridurti a trovare delle cime. Poi tocca i chiarori delle cime pur di giallorino, e vedrai i rilievi degli álbori e delle verdure; ma prima, quando hai campeggiato gli álbori di negro in pie’ e alcuni rami degli alberi, e buttavi su le foglie, e poi i frutti; e sopra le verdure butta alcuni fiori e uselletti.
Capitolo LXXXVII
Cap. LXXXVII – Come si de’ colorire i casamenti, in fresco e in secco.
Se vuoi fare casamenti, pigliali nel tuo disegno della grandezza che vuoi, e batti le fila. Poi campeggiali con verdaccio, e con verdeterra, o in fresco o in secco, che sia ben liquido; e qual puoi fare di biffo, qual di cignerognolo, qual di verde, quale in colore berrettino, e per lo simile di quel colore tu vuoi. Poi fa’ una riga lunga, diritta e gentile, la quale dall’uno de’ tagli sia smussata, che non s’accosti al muro; chè fregandovi, o andando su col pennello e col colore non t’imbratterà niente; e lavorrai quelle cornicette con gran piacere e diletto; e per lo simile, base, colonne, capitelli, frontispizi, fioroni, civori, e tutta l’arte della mazzonaría, ch’è un bel membro dell’arte nostra, e vuolsi fare con gran diletto. E tieni a mente, che quella medesima ragione che hai nelle figure dei lumi e scuri, così conviene avere in questi, e da’ a’ casamenti per tutti questa ragione: che la cornice che fai nella sommità del casamento, vuol pendere da lato verso lo scuro in giù; la cornice del mezzo del casamento, a mezza la faccia, vuole essere ben pari e ugualiva; la cornice del fermamento del casamento di sotto, vuole alzare in su per lo contrario della cornice di sopra, che pende in giù.
Capitolo LXXXVIII
Cap. LXXXVIII – Il modo del ritrarre una montagna del naturale.
Se vuoi pigliare buona maniera di montagne, e che paino naturali, togli di pietre grandi che sieno scogliose e non polite; e ritra’ne del naturale, dando i lumi e scuro, secondo che la ragione t’acconsente.
Capitolo LXXXIX
Cap. LXXXIX – In che modo si lavora a olio in muro, in tavola, in ferro, e dove vuoi.
Innanzi che più oltre vada, ti voglio insegnare a lavorare d’olio in muro o in tavola, che l’usano molto i tedeschi: e, per lo simile, in ferro e in pietra. Ma prima diren del muro.
Capitolo CX
Cap. XC – Per che modo dèi cominciare a lavorare in muro ad olio.
Ismalta il muro a modo che lavorassi in fresco; salvo che, dove tu smalti a poco a poco, qui tu dei smaltare distesamente tutto il tuo lavoro. Poi disegna con carbone la tua storia, e fermala o con inchiostro o con verdaccio temperato. Poi abbia un poco di colla bene innacquata. Ancora è miglior tempera tutto l’uovo sbattuto con lattificio del fico in una scodella; e mettivi in su ’l detto uovo un migliuolo d’acqua chiara. Poi, o vuoi con ispugna o vuoi col pennello morbido e zetto, daine una volta per tutto ’l campo che hai a lavorare; e lascialo asciugare almen per un dì.
Capitolo CXI
Cap. XCI – Come tu dèi fare l’olio buono per tempera, e anche per mordenti, bollito con fuoco.
Perchè delle utili cose che a te bisogna sapere sì per mordenti sì per molte cose che s’adovra, ti conviene saper fare quest’olio; imperò togli una libra, o due o tre o quattro, d’olio di semenza di lino, e mettilo in una pignatta nuova; e s’è invetriata, tanto è migliore. Fa’ un fornelletto, e fa’ una buca tonda, che questa pignatta vi stia commessa a punto, che ’l fuoco non possa passare di sopra; perchè ’l fuoco vi anderebbe volentieri, e metteresti a pericolo l’olio, e anche di bruciare la casa. Quando hai fatto il tuo fornello, empiglia un fuoco temperato: chè quanto il farai bollire più adagio, tanto sarà migliore e più perfetto. E fallo bollire per mezzo, e sta bene. Ma per fare mordenti, quando è tornato per mezzo, mettivi per ciascuna libra d’olio un’oncia di vernice liquida, che sia bella e chiara: e questo cotale olio è buono per mordenti.
Capitolo CXII
Cap. XCII – Come si fa l’olio buono e perfetto, cotto al sole.
Quando tu hai fatto quest’olio (il quale ancora si cuoce per un altro modo, ed è più perfetto da colorire; ma per mordenti vuol essere pur di fuoco, cioè cotto), abbi il tuo olio di semenza di lino; e di state mettilo in un catino di bronzo o di rame, o in bacino. E quando è il sole lione, tiello al sole; il quale, se vel tieni tanto che torni per mezzo, è perfettissimo da colorire. E sappi che a Firenze l’ho trovato il migliore e ’l più gentile che possa essere.
Capitolo CXIII
Cap. CXIII – Sì come dèi triare i colori ad olio, e adoperarli in muro.
Ritorna a ritriare, o vero macinare, di colore in colore, come facesti a lavorare in fresco; salvo dove triavi con acqua, tria ora con questo olio. E quando li hai triati, cioè d’ogni colore (chè ciascheduno colore riceve l’olio, salvo bianco sangiovanni), abbi vasellini dove mettere i detti colori, di piombo o di stagno. E se non ne truovi, togli degl’invetriati, e mettivi dentro i detti colori macinati: e pongli in una cassetta, che stieno nettamente. Poi con pennelli di vaio, quando vuoi fare un vestire di tre ragioni, sì come t’ho detto, compartiscili e mettili ne’ luoghi loro; commettendo bene l’un colore con l’altro, ben sodetti i colori. Poi sta’ alcun dì, e ritorna, e vedi come son coverti, e ricampeggia come fa mistieri. E così fa’ dello incarnare, e di fare ogni lavorío che vuoi fare: e così montagne, arbori, ed ogni altro lavoro. Poi abbia una piastra di stagno o di piombo, che sia alta d’intorno un dito, sì come sta una lucerna; e tiella mezza d’olio, e quivi tieni i tuo’ pennelli in riposo, che non si secchino.
Capitolo CXIV
Cap. XCIV – Come dèi lavorare ad olio in ferro, in tavola, in pietra.
E per lo simile in ferro lavora, e ogni pietra, ogni tavola, incollando sempre prima; e così in vetro, o dove vuoi lavorare.
Capitolo CXV
Cap. XCV – Il modo dell’adornare in muro ad oro, o con istagno.
Ora, poi che dimostrato t’ho del modo del lavorare in fresco, in secco, e ad olio, ti voglio dimostrare a che modo dèi adornare in muro con istagno dorato in bianco, e con oro fine. E nota, che sopra tutto fa’ con meno ariento che puoi, perchè non dura, e viene negro in muro e in legno; ma più tosto perde in muro. Adopera in suo cambio innanzi dello stagno battuto, o vogli stagnuoli. Ancora ti guarda da oro di metà, chè di subito viene negro.
Capitolo CXVI
Cap. XCVI – Come dèi sempre usare di lavorare oro fine, e di buoni colori.
In muro i più hanno per usanza adornare con stagno dorato, perchè è di meno spesa. Bene ti do questo consiglio, che ti sforzi di adornare sempre d’oro fine, e di buoni colori, massimamente in nella figura di Nostra Donna. E se vuoi dire: una povera persona non può fare la spesa; rispondoti: che se lavori bene, e dia tempo nelli tuoi lavorii, e di buoni colori, acquisti fama in tal modo, che una ricca persona ti verrà a pagare per la povera; e sarà il nome tuo sì buono in dare buon colore, che se un maestro arà un ducato d’una figura, a te ne sarà proferto due, e verrai ad avere tua intenzione; come che proverbio antico sia: chi grossamente lavora, grossamente guadagna. E dove non ne fossi ben pagato, Iddio e Nostra Donna te ne farà di bene all’anima o al corpo.
Capitolo CXVII
Cap. XCVII – In che modo dèi tagliare lo stagno dorato, e adornare.
Quando adorni di stagno, o bianco o dorato, che l’abbia a tagliare con coltellino; prima abbia un’asse ben pulita, di noce o di pero o di susino, sottile non troppo, per ogni parte quadra, sì com’è un foglio reale. Poi abbi della vernice liquida, ungi bene questa asse, mettivi su il tuo pezzo di stagno, ben disteso e pulito. Poi va’ tagliando con coltellino bene aguzzato nella punta, e con riga taglia le filuzza di quella larghezza che vuoi fare i fregi, o vuoi pur di stagno, o vuoi sì larghi, che gli adorni poi o di negro o di altri colori.
Capitolo CXVIII
Cap. XCVIII – Come si fa lo stagno verde per adornare.
Ancora, per adornare i detti fregi, togli del verderame, triato con olio di linseme; e danne distesamente su per un foglio di stagno bianco, che sarà un bel verde. Lascialo ben seccare al sole, poi in sull’asse distendi con vernice, poi taglia con coltellino, o vuoi prima con istampa fare o rosettine, o qualche belle cosette; e con vernice liquida ungi l’asse, e quelle rosette vi pon su; poi l’attacca al muro. Ancora, se vuoi fare stelle d’oro fino, o mettere la diadema de’ santi, o adornare con coltellino, come ti ho detto, ti conviene prima mettere l’oro fine in su lo stagno dorato.
Capitolo CXIX
Cap. XCIX – Come si fa lo stagno dorato, e come colla detta doratura si mette d’oro fine.
Lo stagno dorato si fa in questo modo. Abbi un’asse lunga tre o quattro braccia, ben pulita; e ungesi con grasso o con sevo. Mettevisi su di questo stagno bianco; poi con uno licore, che si chiama doratura, si mette sopra il detto stagno in tre o in quattro luoghi, poco per luogo; e colla palma della mano si va battendo su per questo stagno, gualivando questa doratura così in un luogo come in un altro. Al sole lascialo ben seccare. Quando è squasi asciutta, che poco poco pizza, allora abbi il tuo oro fine, e ordinatamente metti e cuopri il detto stagno del detto oro fine. Poi puliscilo con la bambagia ben netta; spicca lo stagno dall’asse. Quando il vuoi adoperare, fa’ con vernice liquida, e fanne quelle stelle o quei lavorii che vuoi, a modo che fai dello stagno dorato.
Capitolo C
Cap. C – Come si debbano fare e tagliare le stelle, e metterle in muro.
In prima hai a tagliare le stelle tutte colla riga; e dove le hai a mettere, metti in su l’azzurro dove viene la stella, prima una bollottolina di cera; e lavoravi la stella a razzo a razzo, siccome hai tagliato in su l’asse. E sappi, che si fa molto più lavorìo con meno oro fine, che non fa a mettere a mordente.
Capitolo CI
Cap. CI – Come del detto stagno, mettuto d’oro fine, puoi fare le diademe de’ santi in muro.
Ancora se vuoi fare le diademe de’ santi senza mordenti, quando hai colorita la figura in fresco, togli una agugella, e gratta su per lo contorno della testa. Poi in secco ungi la diadema di vernice, mettivi su il tuo stagno dorato, o ver mettudo d’oro fine; mettilo sopra la detta vernice, battilo bene colla palma della mano, e vedrai i segni che facesti coll’agugella. Togli la punta del coltellino bene arrotata, e gentilmente va’ tagliando il detto oro; e l’avanzo riponi per altri tuoi lavorii.
Capitolo CII
Cap. CII – Come dèi rilevare una diadema di calcina, in muro.
Sappi che la diadema si vuole rilevarla in su lo smalto fresco con una cazzuola piccola, in questo modo. Quando hai disegnata la testa della figura, togli il sesto, e volgi la corona. Poi piglia un poca di calcina, ben grassa, fatta a modo d’unguento o di pasta, e smalta la detta calcina, grossetta di fuori intorno intorno, e sottile inverso il capo. Poi ripiglia il sesto, quando hai ben pulita la detta calcina; e col coltellino va’ tagliando la detta calcina su per lo filo del sesto, e rimarrà rilevata. Poi abbi una stecchetta di legno, forte; e va’ battendo i razzi d’attorno della diadema. E questo ordine vuole essere in muro.
Capitolo CIII
Cap. CIII – Come dal muro pervieni a colorire in tavola.
Quando non vuoi adornare le tue figure di stagno, puoi adornare di mordenti, de’ quali io tratterò per ordine più innanzi perfettamente (de’ quali potrai adoperalli in muro, in tavola, in vetro, in ferro, e in ciacuna cosa), e quelli che sono forti e sufficienti a stare all’aria, al vento, e all’acqua, e quelli che sono da vernicare, e quelli che no. Ma vogliamo pure ritornare al nostro colorire, e di muro andare alle tavole, o vero ancone, ch’è la più dolce arte e la più netta che abbiamo nell’arte nostra. E tieni bene a mente, che chi imparasse a lavorare prima in muro e poi in tavola, non viene così perfetto maestro nell’arte, come perviene a imparare prima in tavola e poi in muro.
Capitolo CIV
Cap. CIV – In che modo dèi pervenire a stare all’arte del lavorare in tavola.
Sappi che non vorrebbe essere men tempo a imparare: come, prima studiare da piccino un anno a usare il disegno della tavoletta; poi stare con maestro a bottega, che sapesse lavorare di tutti i membri che appartiene di nostra arte; e stare e incominciare a triare de’ colori; e imparare a cuocere delle colle, e triar de’ gessi; e pigliare la pratica dell’ingessare le ancone, e rilevarle, e raderle; mettere d’oro; granare bene; per tempo di sei anni. E poi, in praticare a colorire, ad ornare di mordenti, far drappi d’oro, usare di lavorare di muro, per altri sei anni, sempre disegnando, non abbandonando mai nè in dì di festa, nè in dì di lavorare. E così la natura per grande uso si convertisce in buona pratica. Altrimenti, pigliando altri ordini, non sperare mai che vegnino a buona perfezione. Chè molti son che dicono, che senza essere stati con maestri hanno imparato l’arte. Nol credere, chè io ti do l’essempro di questo libro: studiandolo il dì e di notte, e tu non ne veggia qualche pratica con qualche maestro, non ne verrai mai da niente, nè che mai possi con buon volto restare fra i maestri.
Capitolo CV
Cap. CV – A che modo si fa la colla di pasta, o ver sugolo.
Incominciando a lavorare in tavola col nome della santissima Trinità, invocando sempre suo nome e della gloriosa vergine Maria, fare ci conviene il fondamento: cioè, e’ sono chiamate di più ragioni colle. L’è una colla che si fa di pasta cotta, la quale è buona da cartolari e maestri che fanno libri, ed è buona ad incollare carte l’una coll’altra, e ancora attaccare stagno con carta. Alcuna volta ci è di bisogno per incollare carte per fare i strafori. Questa colla si fa per questo modo. Abbi un pignattello presso a pien d’acqua chiara, fa’ che si scaldi bene. Quando vuol bollire, abbi della farina ben tamigiata; mettine a poco a poco in su ’l pignattello, di continovo rimenando con uno stecco o cuslieri. Lasciala bollire, e fare che non sia troppo soda. Tra’la fuori, mettila in una scodella; se vuoi che non puzzi, mettivi del sale: e così l’adopera quando tu n’hai per bisogno.
Capitolo CVI
Cap. CVI – Come dèi fare la colla da incollare priete.
È una colla ch’è buona a incollare priete: e questa si fa di mastrice, di cera nuova, di pietra pesta, tamigiata, e poi al fuoco distemperate bene insieme. Abbi la tua prieta, spazzala, scaldala bene, mettivi di questa colla. Durerà sempre al vento e all’acqua, se ne incollassi ruote da agugiare, o ver da arrotare, o mole da macinare.
Capitolo CVII
Cap. CVII – Come si fa la colla da incollare vasi di vetro.
È una colla la quale è buona da incollare vetri, o orciuoli, o altri belli vasi da Domasco o da Maiolica, che fussero spezzati. Questa tal colla: abbi vernice liquida, un poca di biacca e di verderame. Mettivi dentro di quel colore ch’è il vetro: s’egli è azzurro, mettivi un poco d’indaco; s’egli è verde, vinca il verderame, e sic de singulis. E tria bene queste cose insieme, come puoi sottilissimamente. Piglia i pezzi de’ tuo’ vasi rotti, o muglioli; e se fossero in mille pezzi, commettili insieme, ponendovi di questa colla sottilmente. Lasciala seccare per ispazio d’alcuni mesi al sole ed al vento; e troverai i detti vasi essere più forti, e meglio da difendersi dall’acqua là dove sono spezzati, come dove sono saldi.
Capitolo CVIII
Cap. CVIII – A che modo si adopera la colla di pesce, e come si distempera.
Egli è una colla che si chiama colla di pesce. Questa colla si fa di più ragioni pesce. Questa, mettendosi così el pezzucolo, o vero spicchio, in bocca tanto bisogni, e un poco fregandola a carte di pecora o altre carte, attacca insieme fortissimamente. A struggerla, è buona e perfettissima a incollare liuti, o altre cose gentili di carta o di legname o d’osso. Quando la metti al fuoco, mettivi per ogni spicchio, mezzo migliuolo d’acqua chiara.
Capitolo CIX
Cap. CIX – Come si fa la colla di caravella, e come si distempera, e a quante cose è buona.
Egli è una colla che si chiama colla di spicchi, la quale si fa di mozzature di musetti di caravella, peducci, nervi, e molte mozzature di pelli. Questa tal colla si fa di marzo o di gennaio, quando sono quelli grandi freddi o venti; e fassi bollire tanto con acqua chiara, che torna men che per mezzo. Poi la metti ben colata in certi vasi piani, come conche da gialatina o bacini. Lasciala stare una notte. Poi la mattina con coltello la taglia a fette come di pane; mettila in su stuore a seccare a venti, sanza sole; e viene perfetta colla. La quale colla è adoperata da’ dipintori, da’ sellari, da moltissimi maestri, sì come per lo innanzi ti mostrerò. Ed è buona colla da legname e da molte cose: della quale tratteremo compiutamente, a dimostrare in ciò che adoperar si può, e in che modo in gessi, in temperar colori, far liuti, tarsie, attaccar legni, fogliame insieme, temperar gessi, far gessi rilevati; e a molte cose è buona.
Capitolo CX
Cap. CX – Perfetta colla a temperar gessi da ancone, o ver tavole.
Egli è una colla che si fa di colli di carte di pecora e di cavretti, e mozzature delle dette carte. Le quali si lavano bene, mettonsi in molle un dì innanzi le metti a bollire; con acqua chiara la fa’ bollire tanto, che torni delle tre parti l’una. E di questa colla voglio, che quando non hai colla di spicchi, che adoperi sol di questa per ingessare tavole o vero ancone; chè al mondo non puoi avere la migliore.
Capitolo CXI
Cap. CXI – Colla la quale è buona a temperare azzurri e altri colori.
Egli è una colla la quale si fa di raditura di carta di cavrettocavretto o di pecora. Falla bollire, che torni per terzo, con acqua chiara. Sappi ch’ell’è una colla chiarissima, che pare un cristallo, e buona a temperare azzurri scuri. E dove avessi campeggiati colori che non fussero stati ben temperati, da’ una man di questa colla, e ritempera i colori, e raffermali; chè gli puoi vernicare a tua posta se sono in tavola, ed eziandio azzurri di muro. E anche sarebbe buona a temperare gessi, ma ell’è di natura magra; e al gesso che ha a tenere oro, vuole rispondere grassetta.
Capitolo CXII
Cap. CXII – A fare una colla di calcina e di formaggio.
Egli è una colla la quale adoperano maestri di legname; la quale si fa di formaggio, mettudo in mollo nell’acqua. Rimenala con un’assicella a due mani, con un poca di calcina viva: mettila tra un’asse e un’altra; e poi le conmette e attacca bene insieme l’una coll’altra. E questo ti basti al fare di più maniere colle.
Capitolo CXIII
Cap. CXIII – Come si dee incominciare a lavorare in tavola, o vero in ancone.
Ora vegniamo al fatto del lavorare in ancona, o vero in tavola. Prima vuol essere l’ancona lavorata di un legname che si chiama arbero o vero povolare, che sia ben gentile, o tiglio, o saligaro. E poi abbi il corpo dell’ancona, cioè i piani; e procura, se v’è groppi magagnanti, o se l’asse fusse niente unta, fa’ tagliare tanto dell’asse che l’untume vada via; chè mai non ti potrei dare altro rimedio.
Fa’ che il legname sia ben secco; e se fusse figure di legname o foglie, che le potessi far bollire in caldaia con acqua chiara, mai quel legname non ti farebbe cattiveria di sfenditure.
Ritorniamo pure ai groppi, o ver nodi, e altre magagne che avesse il piano della tavola. Togli colla di spicchi forte, tanto che un migliuolo o ver bicchiere di acqua faccia scaldare e bollire due spicchi in uno pignattello, netto d’unto. Poi abbi in una scodella segatura di legname intrisa di questa colla; empine i difetti de’ nodi, e ripiana con una stecca di legno, e lasciala seccare. Poi con una punta di coltellino radi, che torni gualiva all’altro piano. Va’ ancora procurando se v’è chiovi o ferro o punta di ferro che avanzasse il piano, sbattilo bene dentro infra l’asse. Abbi poi colla con pezzuoli di stagno battuto come quattrini, e cuopri bene dov’è ferro: e questo si fa, perchè la ruggine del ferro non passi mai sopra il gesso. Il piano dell’ancone mai non vuole essere troppo pulito. Abbi prima colla fatta di mozzature di carte pecorine, bollita tanto, che rimanga delle tre parti l’una. Tastala colle palme delle mani; e quando senti che l’una palma si appicca coll’altra, allora è buona. Colala due o tre volte. Poi abbi in una pignatta, mezza di questa colla, e il terzo acqua, e falla ben calda. Poi con un pennello di setole, grosso e morbido, da’ di questa colla su per la tua ancona, e sopra fogliami, civori, o colonnelli, o ciò che lavoro fusse che abbia a ingessare; poi la lascia seccare. Togli poi della tua prima colla forte, e danne col tuo pennello due volte sopra il detto lavoro, e lasciala sempre seccare dall’una volta all’altra; e rimane incollata perfettamente. E sai che fa la prima colla? Un’acqua che viene ad essere men forte; e appunto come fussi digiuno e mangiassi una presa di confetto, e beessi un bicchiere di vino buono, ch’è un invitarti a desinare. Così è questa colla: è un farsi accostare il legname a pigliare le colle e gessi.
Capitolo CXIV
Cap. CXIV – Come si dee impannare in tavola.
Incollato che hai, abbi tela, cioè panno lino, vecchio, sottile, di lesco bianco, senza unto di nessun grasso. Abbi la tua colla migliore; taglia, o straccia listre grandi e piccole di questa tela; inzuppale in questa colla: valle distendendo colle mani su per li piani delle dette ancone; e leva prima via le costure, e colle palme delle mani le spiana bene, e lasciale seccare per due dì. E sappi che lo incollare e ingessare vuole essere il tempo alido e ventoso. Vuole essere la colla più forte di verno che di state; chè di verno il mettere di oro vuole essere il tempo umido e piovoso.
Capitolo CXV
Cap. CXV – In che modo si debbe ingessare un piano di tavola, a stecca, di gesso grosso.
Quando l’ancona è ben secca, togli una punta del coltello a modo di una mella, che rada bene; e va’ cercando per lo piano se trovi nocciuoletto, o cucitura nessuna, e togli via. Poi abbi gesso grosso, cioè volterrano, ch’è purgato, ed è tamigiato a modo di farina. Mettine uno scodellino in su la prieta proferitica, e macina con questa colla bene, per forza di mano, a modo di colore. Poi il raccogli con istecca, mettilo in su ’l piano dell’ancona, e con una stecca ben piana e grandicella ne va’ coprendo tutti i piani, e dove puoi darne di questa stecca, sì ’l fa’. Poi abbi di questo cotal gesso macinato; scaldalo: togli un pennello di setole morbido, e danne di questo gesso sopra le cornici e sopra le foglie, e così ne’ piani, di stecca. Negli altri luoghi e cornici, ne da’ tre o quattro volte; ma ne’ piani non se ne può dar troppo. Lascialo seccare per due o tre dì. Poi abbi questa mella di ferro; va’ radendo su per lo piano. Fa’ fare certi ferretti, che si chiamano raffietti, come vedrai a’ dipintori, di più ragioni fatti. Va’ ritrovando ben le cornici e fogliami, che non rimangano pieni, se no gualivi; e fa’ che generalmente ogni difetto di piani e di mancamenti o di cornici si medichino di questo ingessare.
Capitolo CXVI
Cap. CXVI – Come si fa il gesso sottile da ingessare tavole.
Ora si vuole che tu abbi d’un gesso il quale si chiama gesso sottile; il quale è di questo medesimo gesso, ma è purgato per bene un mese, e tenuto in molle in un mastello. Rinnuova ogni dì l’acqua, chè squasi si inarsisce, ed escene fuori ogni focor di fuoco, e viene morbido come seta. Poi si butta via l’acqua, fassene come pane, lasciasi asciugare; e di questo gesso si vende poi dalli speziali a noi dipintori. E di questo gesso si adopera a ingessare, per mettere d’oro, per rilevare, e fare di belle cose.
Capitolo CXVII
Cap. CXVII – Come s’ingessa un’ancona di gesso sottile, e a che modo si tempera.
Come tu hai ingessato di gesso grosso, e raso bene pulito, e spianato bene e dilicatamente, togli di questo gesso sottile; a pane a pane mettilo in una catinella d’acqua chiara; lascialo bere quant’acqua e’ vuole. Poi ’l metti a poco a poco in su la prieta proferitica, e senza mettervi altr’acqua dentro, perfettissimamente il macina nettamente. Poi ’l metti in su un pezzo di pannolino, forte e bianco; e così fa’ tanto, che n’abbi tratto un pane. Poi il rinchiudi in questo panno, e strucalo bene, che l’acqua n’esca fuori quanto più si può. Quando n’hai macinato quanto ti fa per bisogno (che ti conviene avvisarti, per non avere a fare di due ragioni gessi temperati, che non ti gitterebbe buona ragione), abbi di quella medesima colla, di che hai temperato il gesso grosso: tanta se ne vuole fare per volta, che temperi il gesso sottile e grosso. E vuole essere il gesso sottile temperato meno che il gesso grosso. La ragione? chè il gesso grosso è tuo fondamento di ogni cosa. E per tanto el ti viene bene a ragionare, che non potrai strucare tanto il gesso sottile, che qualche poco non vi rimanga di acqua. E per questa cagione fa’ arditamente una medesima colla. Abbi una pignatta nuova, che non sia unta; e se fusse invetriata, tanto è migliore. Togli ’l pane di questo gesso, e col coltellino il taglia sottile, come tagliassi formaggio; e metti in questa pignatta. Poi vi metti su della colla; e colla mano va’ disfacendo questo gesso, come facessi una pasta da fare frittelle, pianamente e destramente, che non ti facci schiuma mai. Poi abbi una caldara d’acqua, e falla ben calda, e mettivi questa pignatta di gesso temperato. E questa ti tiene il gesso caldo, e non bolle; chè se bollisse, si guasterebbe. Quando è caldo, togli la tua ancona; e con pennello di setole grossetto e bene morbido, intigni in questa pignatta, e pigliane temperatamente, nè troppo nè poco; e danne distesamente una volta su per li piani, e per cornici, e per fogliami. È vero che in questa prima volta, come vai daendo, così colle dita e colla palma della mano al tondo va’ rispianando e fregando su per lo gesso dove il poni: e questo ti fa incorporare bene il sottile col grosso. Quando hai fatto così, ritorna da capo, e danne distesamente una volta di pennello, senza fregare più mano. Poi lascialo posare un poco, non tanto che secchi in tutto; e ridanne un’altra volta per l’altro verso, pur col pennello; e lascialo riposare a modo usato. Poi ne da’ un’altra volta per l’altro verso: e per questo modo, sempre tenendo il tuo gesso caldo, ne da’ in su’ piani per lo meno otto volte. In fogliami e altri rilievi si passa di meno; ma in piani non se ne può dare troppo. Questo è per cagione del radere, che si fa poi.
Capitolo CXVIII
Cap. CXVIII – Come si può ingessare di gesso sottile, non avendo ingessato prima di gesso grosso.
Ancora si può bene incollare due o tre volte, come da prima ti dissi, cotali lavoruzzi piccoli e gentili; e darne solo di gesso sottile tante volte, quanto per pratica vedrai che bisogno sia.
Capitolo CXIX
Cap. CXIX – A che modo dèi temperare e macinare gesso sottile da rilevare.
Ancora son molti che macinano il gesso sottile pur con la colla e con acqua. Questo è buono per ingessare dove non è ingessato di gesso grosso, che vuol essere più temperato. Questo cotal gesso è molto buono a rilevare foglie e altri lavori, si come è molte volte per bisogno. Ma quando fai questo gesso da rilevare, mettivi dentro un poco di bolio armenico, tanto che gli dia un poco di colore.
Capitolo CXX
Cap. CXX – A che modo dèi cominciare a radere un piano d’ancona ingessato di gesso sottile.
Quando hai finito d’ingessare (che vuol essere finito in un dì, e, se bisogna, mettivi della notte, purchè tu dia le tue dótte ordinate), lascialo seccare senza sole due dì e due notti per lo meno: quanto lasci più seccare, tanto è meglio. Abbi una pezza con carbone macinato, legata a modo di balluzza, e va’ spolverizzando su per lo gesso di questa ancona. Poi, con un mazzo di penne di gallina o d’oca, va’ spazzando e gualivando questa polvere negra su per lo gesso. E questo, perchè il piano non si può radere troppo perfettamente, e perchè il ferro è piano con che radi il gesso, dove lievi, riman bianco come latte. Allora ti avvedi dov’è più di bisogno el radere.
Capitolo CXXI
Cap. CXXI – Sì come si dee radere il gesso sottile su per li piani, e a che è buona la detta raditura.
Abbi prima un raffietto piano e largo un dito, e gentilmente va’ intorno intorno al piano radente la cornice una fia’. Poi va’ colla tua mella arrotata, piana quanto puoi al mondo; e con leggier mano, non tenendo la detta punta con nessuna strettezza di mano, la va’ fregando su per lo piano della tua ancona, spazzandoti dinanzi ’l gesso con le dette penne. E sappi che questa cotale spazzatura è fine a trarre l’olio delle carte de’ libri. E, per lo simile, con i tuo’ ferretti va’ radendo cornici e fogliami, e va’ pulendo sì come fusse uno avorio. E alcuna volta (per fretta e per molti lavori ch’abbi) puoi pulire le cornici e fogliami pur con una pezza lina, bagnata e strucata, fregandola bene su per le dette cornici e fogliami.
Capitolo CXXII
Cap. CXXII – Come principalmente si disegna in tavola con carbone, e rafferma con inchiostro.
Essendo ben raso il gesso, e tornato a modo d’avorio; la prima cosa che dèi fare, si vuole disegnare la tua ancona, o ver tavola, con quelli carboni di salice, che per addietro t’insegnai a farli. Ma vuolsi legare il carbone a una cannuccia o ver bacchetta, acciò che stia di lungi dalla figura; chè molto ti giova in nel comporre. E abbi una penna appresso; chè quando alcun tratto non ti venisse ben fatto, che coi peli della detta penna possi torlo via e ridisegnarlo. E disegna con leggier mano, e quivi aombra le pieghe e i visi, come facessi col pennello, o come facessi con la penna che si disegna, a modo si penneggiasse. Quando hai compiuto di disegnare la tua figura (spezialmente che sia d’ancona di gran pregio, che n’aspetti guadagno e onore), lasciala stare per alcun dì, ritornandovi alcuna volta a rivederla, e medicare dove fusse per bisogno. Quando a te pare che stia presso di bene (che puoi ritrarre e vedere, delle cose per altri buoni maestri fatte, che a te non è vergogna); staendo la fiura bene, abbi la detta penna, e va’ a poco a poco fregandola su per lo disegno, tanto che squasi ti metta giù il disegno; non tanto però, che tu non intenda bene i tuoi tratti fatti. E togli in uno vasellino, mezzo d’acqua chiara, alcune gocciole d’inchiostro; e con un pennelletto di vaio puntío va’ raffermando tutto il tuo disegno. Poi abbi un mazzetto delle dette penne, e spazza per tutto il disegno el carbone. Poi abbi un’acquerella del detto inchiostro, e con pennello mozzetto di vaio va’ aombrando alcuna piega e alcuna ombra nel viso. E così ti rimarrà un disegno vago, che farai innamorare ogni uomo de’ fatti tuoi.
Capitolo CXXIII
Cap. CXXIII – Sì come dèi segnare i contorni delle figure per mettere in campo d’oro.
Disegnato che hai tutta la tua ancona, abbi una agugella mettuda in una asticciuola; e va’ grattando su per li contorni della figura in verso i campi che hai a mettere d’oro, e i fregi che sono a fare delle figure, e certi vestiri che si fanno di drappo d’oro.
Capitolo CXXIV
Cap. CXXIV – Sì come si rilieva di gesso sottile in tavola, e come si legano le pietre preziose.
Oltre a questo, togli di quel gesso da rilevare, se volessi rilevare fregio o fogliame, o attaccare cotali priete preziose in certi fregi dinanzi o a Dio Padre o di Nostra Donna, o certi altri adornamenti, che abbelliscono molto il tuo lavoro; e sono pietre di vetro di più colori. Compartiscile con ragione (avendo il tuo gesso in uno vasellino su’n un testo di cenere calda e un vasellino d’acqua chiara calda, però che spesso ti conviene lavare il pennello; essendo questo pennello di vaio sottiletto e un poco lunghetto; togliendo bellamente del gesso caldo con la punta del detto pennello, e andare prestamente a rilevare quello che vuoi. E se rilevassi alcune fogliette, disegnale prima come fai la figura, e non ti curare di rilevare molte nè troppe cose confuse; chè quanto fai i tuo’ fogliami più chiari, tanto gittano meglio al granare colla rosetta, e possonsi meglio brunire colla pietra. Alcuni maestri sono, che, poichè hanno rilevato quello che vogliono, dánno una volta o due di gesso, di quello che hanno ingessato la detta ancona, pur di gesso sottile, con pennelletto morbido di setole. Ma se rilievi poco, a mio parere viene più gentile e più fermo e sicuro lavoro a far senza darne filo, per la ragione che prima t’assegnai, di non dare molte ragioni di tempere di gesso.
Capitolo CXXV
Cap. CXXV – Come dèi improntare alcuno rilievo per adornare alcuni spazi d’ancone.
Perchè ragioniam del rilevare, te ne dirò alcuna cosa. Di questo tal gesso, o più forte di colla, puoi buttare alcuna testa di leone, od altre stampe stampate in terra o vero in crea. Ungi la detta stampa con olio da bruciare, mettivi di questo gesso ben temperato, e lascialo bene fredare; e poi dal lato della detta stampa solleva il gesso con punta di coltellino, e soffia forte. Usciranne netta. Lasciala seccare. Poi in alcun adornamento metti con questo modo, del gesso medesimo che ingessi, o con quello che rilievi; ungi col pennello dove vuoi mettere la detta testa; calcala col dito, e fermerassi per ordine. Poi togli del detto gesso, e col detto pennello di vaio, alla parte che rilievi, danne una volta o due, stropicciando col dito su per la detta impronta; e lasciala godere. Va’ poi con punta di coltellino ricercandola, se nessuno nocchiolino vi fusse, e tollo via.
Capitolo CXXVI
Cap. CXXVI – Come si dee smaltare ciascun rilievo di muro.
Ancora ti dirò del rilevare in muro. Prima e’ sono certi lavorii di muro ritondi, o foglie, che non si può con cazzuola smaltare. Abbi della calcina ben tamigiata, e sabbion ben tamigiato; metti in un catino; e con pennello di setole grosso e con acqua chiara, distempera bene a modo di una pasta; e danne col detto pennello per li detti luoghi più volte. Poi pulisci con cazzuola, e rimarrà bene smaltata. E lavorala fresca e secca, come se’ avvisato in lavorare in fresco.
Capitolo CXXVII
Cap. CXXVII – Come si rilieva, con calcina in muro; come rilievi con gesso in tavola.
Ancora della predetta calcina, triata un poco in su la pietra, puoi rilevare in muro ciò che tu vuoi; così, come ti ho detto in tavola, puoi pure nella calcina e intonaco fresco.
Capitolo CXXVIII
Cap. CXXVIII – Come si fa alcuno rilievo tratto d’impronta di prieta, e come son buoni in muro e in tavola.
Ancora puoi avere una pietra, distagliata di divise di qual ragione che vuoi, e ungere la detta pietra con lardo o con sugna. Poi avere dello stagno battuto; e con stoppa alcuna cosa bagnata, mettendola sopra lo stagno ch’è sopra la ’mpronta, e battendolo forte con uno magliuolo di salico, quanto puoi. Abbi poi gesso grosso macinato con colla, e con la istecca riempi questa cotale stampa. Ne puoi adornare in muro, in coffani, in prieta, in ciò che vuoi; mettendo poi di mordente di sopra lo stagno; e, quando morde un poco, metterlo d’oro fine. Attaccala poi al muro quando è secco, con pece di nave.
Capitolo CXXIX
Cap. CXXIX – Come si può rilevare in muro con vernice.
Ancora puoi rilevare in muro. Abbi vernice liquida, mescolala con farina ben triata insieme: e rileva con pennello puntìo di vaio.
Capitolo CXXX
Cap. CXXX – Come si può rilevare in muro con cera.
Ancora puoi rilevare in muro con cera istruita e con pece di nave, miscolate insieme: le due parti cera, la terza pece. Rileva con pennello. Che sia calda.
Capitolo CXXXI
Cap. CXXXI – Come si mette il bolio in tavola, e come si tempera.
Ritornando al nostro dire di prima; quando hai finito di rilevare la tua ancona, abbi bolio armenico, e to’lo buono. Accostalo al tuo labbro di sotto; se vedi che si attacchi, quello è fine. Ora ti conviene saper fare la tempera perfetta a mettere di oro. Abbi la chiara dell’uovo in scodella invetriata, ben netta. Togli una scopa con più rami, tagliata gualiva; e, come rompessi lo spinace o ver minuto, così rompi questa chiara, tanto che venga piena la scodella d’una schiuma soda, che paia neve. Poi abbi un bicchiere comune, non troppo grande, e non in tutto pien d’acqua ben chiara; e mettila sopra la detta chiara della scodella. Lasciala riposare e stillare dalla sera alla mattina. Poi, con questa tempera, macina il detto bolio tanto, quanto più puoi. Abbi una spugna gentile; lavala bene; e intignila in acqua ben chiara; priemila. Poi, dove vuoi mettere d’oro, va’ fregando gentilmente con questa spugna non troppo bagnata. Poi con un pennello grossetto di vaio stempera di questo bolio, macinato liquido si come acqua, per la prima volta; e dove vuoi mettere d’oro, e dove hai bagnato colla spugna, va’ mettendo di questo bolio distesamente, guardandoti dalle ristate che fa alcuna volta il pennello. Poi sta’ un pezzetto: rimetti di questo bolio nel tuo vaselletto, e fa’ che sia la seconda volta con più corpo di colore. E per lo simile modo ne da’ la seconda volta. Ancora il lascia stare un poco: poi vi rimetti su nel detto vasello più bolio, e rimetti all’usato la terza volta, guardandoti dalle ristate. Poi vi rimetti nel detto vasello più bolio, e per lo simile modo da’ la quarta volta: e per questo modo rimarrà mettudo di bolio. Ora si vuole coprire con tela il detto lavoro, guardandolo, quanto più puoi, dalla polvere e dal sole e dall’acqua.
Capitolo CXXXII
Cap. CXXXII – Altro modo da temperare bolio in tavola, da mettere d’oro.
Ancora si può fare la detta tempera in un altro modo. A macinare il bolo, togli l’albume dell’uovo, e così intero il metti su la pietra proferitica. Poi abbi il bolo spolverizzato: intridilo in questo albume. Poi ’l macina bene e sottilmente; e quando ti si risecca infra le mani, aggiungi in su la pietra acqua ben chiara e netta. Poi, quando è ben macinato, temperalo corrente a pennello, pur d’acqua chiara; e, per lo simile modo detto di sopra, ne da’ sopra il tuo lavoro tre, o quattro volte. Ed è a te più sicuro questo modo che altra tempera, non avendo molta pratica. Cuopri bene la tua ancona, o ver tavola, e guardala dalla polvere, come detto ho.
Capitolo CXXXIII
Cap. CXXXIII – Come si può mettere d’oro con verdeterra in tavola.
Ancora secondo che usavano gli antichi puoi fare; cioè impannare di tela a distesa tutta l’ancona innanzi che ingessi; e poi mettere di oro con verdeterra, macinando il detto verdeterra a qual modo vuoi, di queste due ragioni tempere, che di sopra t’ho insegnato.
Capitolo CXXXIV
Cap. CXXXIV – Di che modo si mette l’oro in tavola.
Come viene tempo morbido e umido, e tu voglia mettere d’oro, abbi la detta ancona riversciata in su due trespoli. Togli le penne tue: e spazza bene; togli un raffietto, va’ con leggier mano cercando il campo del bolo. Se nulla puzza, e nocciolo o granellino vi fusse, mandalo via. Piglia una pezza di lesca di panno lino, e va’ brunendo questo bolio con una santa ragione. Ancora brunendolo con dentello, non può altro che giovare. Quando l’hai così brunito e ben netto, togli un migliuolo, presso a pieno d’acqua chiara ben netta, e mettivi dentro un’ poca di quella tempera di quella chiara dell’uovo. E se fusse niente stantìa, tanto è migliore. Rimescola bene in nel migliuolo con la detta acqua. Togli un pennello grossetto di vaio, fatto di puntole di codole, come dinanzi ti dissi; togli il tuo oro fine, e con un paio di mollette o vero pinzette piglia gentilmente il pezzo dell’oro. Abbi una carta tagliata di quadro, maggiore che ’l pezzo dell’oro, scantonata da ogni cantone. Tiella in man sinistra; e con questo pennello, con la man diritta, bagna sopra il bolio tanto, quanto de’ tenere il detto pezzo d’oro che hai in mano. E gualivamente bagna, che non sia più quantità d’acqua più in un luogo che in un altro; poi gentilmente accosta l’oro all’acqua sopra il bolio; ma fa’ che l’oro esca fuori della carta una corda, tanto che la paletta della carta non si bagni. Or, come hai fatto che l’oro tocchi l’acqua, di subito e presto tira a te la mano con la paletta. E se vedi che l’oro non sia in tutto accostato all’acqua, togli un poco di bambagia nuova, e leggieri quanto puoi al mondo. calca il detto oro. E così metti per questo modo degli altri pezzi. E quando bagni per lo secondo pezzo, guarda d’andare col pennello sì rasente il pezzo mettuto, che l’acqua non vada di sopra. E fa’ che soprapponga, con quel che metti, quel ch’è messo, una corda: prima alitando sopra esso, perchè l’oro s’attacchi in quella parte dove è soprapposto prima. Come hai mettudo da tre pezzi, ritorna a calcare con la bambagia il primo, alitando sopra esso, e dimostreratti se ha di bisogno di niuna menda. Allora ti apparecchia un cuscinello grande come un mattone, o ver pietra cotta, cioè un’asse ben piana, confittovi su un cuoio gentile, ben bianco, non unto, ma di que’ che si fa i sovatti. Chiavalo ben distesamente, e riempi, tra ’l legno e ’l cuoio, d’un poco di cimatura. Poi in su questo tale cuscinello mettivi su un pezzo d’oro ben disteso; e con una mella ben piana taglia il detto oro a pezzuoli, come per bisogno ti fa. Alle mende che rimangono, abbi un pennelletto di vaio con punta, e con la detta tempera bagna le dette mende; e così bagnando co’ labbri un poco da capo l’asticciuola del pennello, sarà sufficiente a pigliare el pezzolino dell’oro e metterlo sopra la menda. Quando hai fornito i piani bene che a te sta di metterne, si che per quel di il possa brunire (come ti dirò quando hai a mettere cornici o foglie), guarda di cogliere i pezzetti così come fa il maestro che vuole inseliciare la via; acciò che sempre vadia risparmiando l’oro, il più che puoi facendone masserizia, e cuoprendo con fazzuoli bianchi quell’oro che hai mettudo.
Capitolo CXXXV
Cap. CXXXV – Che pietre son buone a brunire il detto oro mettuto.
Quando comprendi che ’l detto oro sia da brunire, abbi una pietra che si chiama lapis amatita: la quale ti voglio insegnare com’ella si fa. E non avendo questa pietra (e migliore è, a chi potesse fare la spesa, zaffiri, smeraldi, balasci, topazi, rubini, e granati; quanto la pietra è più gentile tanto è migliore), ancora è buono dente di cane, di leone, di lupo, di gatto, di leopardo, e generalmente di tutti animali che gentilmente si pascono di carne.
Capitolo CXXXVI
Cap. CXXXVI – Come si fa la pietra da brunire oro.
Abbi un pezzo di lapis amatita, e guarda di sceglierla ben salda, senza nessuna vena, col tiglio suo tutto disteso da capo a piè. Poi vattene alla mola, e arruotala, e falla ben piana e pulita, di larghezza di due dita, o come puoi fare. Poi abbi polvere di smeriglio, e valla bene acconciando, senza abbi taglio, pure un poco di schiena; ritonda bene in ne’ canti. Poi la commetti in uno manichetto di legno con ghiera d’ottone o di rame; e da capo fa’ che ’l manico sia ben ritondo e pulito, acciò che la palma della mano vi si posi ben su. Poi dàlle il lustro per questo modo. Abbi un proferito ben piano: mettivi su polvere di carbone; e con questa pietra, inforcandola bene in mano sì come brunissi, va’ brunendo su per lo proferito; e avviene che la tua pietra si assoda, e diviene ben negra e rilucente che pare un diamante. Allora se ne vuole avere gran guardia, che non si percuota, nè tocchi ferro. E quando la vuoi adoperare per brunire oro o ariento, tiella prima in seno per cagione che non senta di nessuna umidezza, che l’oro è molto schifo.
Capitolo CXXXVII
Cap. CXXXVII – Come si dee brunire l’oro, o porre rimedii quando non si potesse brunire.
Ora è di bisogno di brunire l’oro, perchè n’è venuto il tempo suo. Egli è vero che di verno tu puoi mettere d’oro quanto vuoi, essendo il tempo umido e morbido, e non alido. Di state, un’ora mettere d’oro, un’altra brunire. Mo sarà egli troppo fresco, e verrà una cagione che ti converrà brunire? tiello in luogo che senta alcun vampore di caldo, o dell’aiere. Mo sarà troppo secco? tiello in luogo umido, sempre coverto; e, quando lo vuoi ben brunire, scuoprilo piano con sentimento, chè ogni piccola fregatura gli dà impaccio. Mettendolo in canove a pie’ delle veggie, o ver botti, riviene da brunire. Mo sarà stato otto o dieci dì o un mese, che per qualche cosa non si sarà potuto brunire? togli un fazzuolo, o vero sciugatoio, ben bianco; mettilo sopra il tuo oro in canova, o dove sia. Poi abbia un altro fazzuolo: bagnalo in acqua chiara, storcilo, e strucalo ben diligentemente; aprilo, e distendilo sopra il primo fazzuolo che hai mettudo in su l’oro asciutto; e statim riviene l’oro da poterlo brunire. Ora ti ho detto le condizioni del modo, quando l’oro è atto a lasciarsi brunire.
Capitolo CXXXVIII
Cap. CXXXVIII – Ora ti mostrerò il modo di brunire, e per che verso, spezialmente un piano.
Togli la tua ancona, o quel che sia mettudo di oro. Dispianala in su due trespidi, o in su panca. Togli la tua prieta da brunire, e fregatela al petto, o dove hai miglior panni che non sieno unti. Riscaldala bene: poi tasta l’oro, se vuole essere ancora brunito; vallo palpone tastandolo sempre con dubbio. Se senti alla prieta niente di polvere, o che sgrigioli di niente, sì come farebbe la polvere fra’ denti, togli una codola di vaio, e con leggiera mano spazza sopra l’oro. E così a poco a poco va’ brunendo un piano prima per un verso, poi con la prieta, menandola ben piana, per altro verso. E se alcuna volta, per lo fregare della pietra, t’avvedessi l’oro non essere gualivo come uno specchio; allora togli dell’oro, e mettivene su a pezzo o mezzo pezzo, insieme alitando prima col fiato; e di subito colla prieta a brunillo. E se t’avvenisse caso, che pure il piano dell’oro isdegnasse, che non venisse bene a tuo modo; ancora per quel modo ve ne rimetti. E se potesse comportare la spesa, sarebbe perfetta cosa, e per tuo onore, a quel modo rimettere tutto ’l campo. Quando vedrai che sia ben brunito, allora l’oro viene squasi bruno per la sua chiarezza.
Capitolo CXXXIV
Cap. CXXXIX – Che oro e di che grossezza è buono a mettere per brunire e per mordenti.
Sappi che l’oro che si mette in piani, non se ne vorrebbe trarre del ducato altro che cento pezzi, dove se ne trae cento quarantacinque; però che quel del piano vuole essere oro più appannato. E guarda, quando vuoi cognoscere l’oro, quando il comperi, toglilo da persona che sia buon battiloro. E guarda l’oro; che se ’l vedi mareggiante e tosto, come di carta di cavretto, allora tiello buono. In cornici o in fogliami si passa meglio d’oro più sottile; ma per li fregi gentili delli adornamenti de’ mordenti, vuole essere oro sottilissimo e ragnato.
Capitolo CXL
Cap. CXL – Come dèi principalmente volgere le diademe, e granare in su l’oro, e ritagliare i contorni delle figure.
Quando hai brunito e compiuto di mettere la tua ancona, a te conviene principalmente torre il sesto: voltare le tue corone o ver diademe: granarle, cogliere alcuni fregi: granarle con istampe minute che brillino come panico; adornare d’altre stampe, e granare se vi è fogliami. Di questo di bisogno è che ne vegga alcuna pratica. Quando hai così ritrovate le diademe e i fregi, togli in uno vasellino un poca di biacca ben triata con un poca di colla temperata; e con pennello picciolo di vaio va’ coprendo e ritagliando le figure del campo, sì come vedrai quelli segnolini che grattasti colla agugella, innanzi che mettessi di bolo. Ancora, se vuoi fare senza ritagliare con biacca e pennello, togli i tuo’ ferretti, e radi tutto l’oro ch’è di avanzo, o che va sopra la figura: ed è migliore lavoro. Questo granare che io ti dico, è de’ belli membri che abbiamo: e puossi granare a disteso, come ti ho detto; e puossi granare a rilievo; che con sentimento di fantasia e di mano leggiera tu puoi in un campo d’oro fare fogliami e fare angioletti e altre figure che traspaiano nell’oro; cioè nelle pieghe e nelli scuri non granare niente; ne’ mezzi un poco, ne’ rilievi assai; perchè il granare, tanto viene a dire, chiareggiare l’oro; perchè per se medesimo è scuro dove è brunito. Ma prima che grani una figura o fogliame, disegna in sul campo dell’oro quello che tu vuoi fare, con stile d’argento o ver d’ottone.
Capitolo CXLI
Cap. CXLI – Come dèi fare un drappo d’oro o negro o verde, o di qual colore tu vuoi, in campo d’oro.
Innanzi che entri a colorire, ti voglio mostrare a fare alcun drappo d’oro. Se vuoi fare un mantello o una gonnella o un cuscinello di drappo d’oro, metti l’oro con bolio, e gratta le pieghe del vestire con quello ordine che t’ho insegnato a mettere un campo. Poi, se vuoi fare il drappo rosso, campeggia questo cotale oro brunito, con cinabro. Se bisogna dargli scuro, dagliele di lacca; se bisogna biancheggiallo, dagliele di minio, tutti temperati di rossume d’uovo; non fregando però il tuo pennello troppo forte, nè troppe volte. Lascialo seccare, e dannegli per lo men due volte. E per lo simile, se gli vuoi fare verdi, o negri, ocome vuoi. Ma se gli volessi fare d’un bello azzurro oltremarino, campeggia prima l’oro con biacca temperata con rossume d’uovo. Quando è secca, tempera il tuo azzurro oltremarino con un poco di colla, e un poco di rossume, forse due gocciole; e campeggia sopra la detta biacca due o tre volte; e lascialo asciugare. Poi, secondo i drappi che vuoi fare, secondo fai i tuo’ spolverezzi; cioè dèi disegnarli prima in carta, e poi forargli con agugella gentilmente, tenendo sotto la carta una tela o panno; o vuoi forare in su un’asse di albero o ver di tiglio: questa è migliore che la tela. Quando l’hai forati, abbi secondo i colori de’ drappi dove hai a spolverare. S’egli è drappo bianco, spolvera con polvere di carbone legato in pezzuola; se ’l drappo è nero, spolvera con biacca, legata la polvere in pezzuola; e sic de singulis. Fa’ i tuo’ modani, che rispondano bene ad ogni faccia.
Capitolo CXLII
Cap. CXLII – Come si disegna, si gratta, e si grana un drappo d’oro o d’argento.
Avendo spolverizzato il tuo drappo, abbi uno stiletto di scopa, o di legno forte, o d’osso; punzío, come stile proprio da disegnare, dall’un de’ lati; dall’altro, pianetto da grattare. E colla punta di questo cotale stile va’ disegnando e ritrovando tutti i tuo’ drappi; e coll’altro lato dello stile va’ grattando, e gittandone giù il colore bellamente, che non vadi sfregando l’oro. E gratta qual tu vuoi, o vuo’ il campo, o vuo’ l’allacciato; e quello che scuopri, quello con la rosetta grana poi. E se in certi trattolini non puo’ mettere la rosetta, abbi solo un punteruolo di ferro che abbi punta come uno stile da disegnare. E per questo modo cominci a saper fare i drappi d’oro. Se vuoi fare drappi d’ariento, quella medesima ragione e condizione si vuole avere a mettere d’ariento che mettere d’oro. Anche ti dico, se vuoli insegnare ai putti o ver fanciulli a mettere d’oro, fa’ lor mettere d’ariento, acciò che ne piglino qualche pratica; perchè è men danno.
Capitolo CXLIII
Cap. CXLIII – In qual modo si fa un ricco drappo d’oro o d’argento o di azzurro oltramarino; e come si fa di stagno dorato in muro.
Ancora, volendo fare un ricco drappo d’oro, si è da rilevare con foglie o con pietre legate di più colori quel vestire che vuoi fare; mettere poi a distesa d’oro fine; e poi granare, quando è brunito.
Ad idem. Mettere tutto il campo d’oro, brunirlo, disegnarvi su il drappo che vuoi fare, o cacciagioni, o altri lavorii. Poi granare il campo o granare lacci, cioè i lavorii disegnati.
Ad idem. Mettere il campo d’oro, disegnarvi il lavoro che vuoi, campeggiare ne’ campi d’un verderame ad olio; due volte aombrando alcuna piega; poi universalmente a distesa darne sopra i campi e sopra i lavorii gualivamente.
Ad idem. Mettere il campo d’oro, brunirlo, e granarlo a rilievo.
Ad idem. Mettere il vestire d’argento; disegnare il tuo drappo quando hai brunito (chè così s’intende pre), campeggiare il campo, o vero lacci, di cinabro temperato pur con rossume d’uovo; poi di una lacca fine ad olio ne da’ una volta o due sopra ogni lavorío, sì come laccio in campo.
Ad idem. Se vuoi fare un bel drappo d’azzurro oltremarino, metti il tuo vestire d’ariento brunito: disegna il tuo drappo; metti, o vuoi i campi o vuoi i lacci, in questo azzurro temperato con colla. Poi a distesa gualivamente ne da’ sopra i campi, e sopra i lacci: ed è un drappo avvellutato.
Ad idem. Campeggia i vestiri, la figura, di quel colore che vuoi aombrarla. Togli poi un pennello di vaio sottile, ed i mordenti. Spolverato che hai, secondo dove vuoi fare i drappi e lacci, lavora di mordenti, come innanzi te ne tratterò. E questi mordenti puoi mettere ad oro od ariento; e rimangono belli drappi, spazzandoli e brunendoli con bambagia.
Ad idem. Avendo lavorato di qual colore tu vuoi, sì come ho detto qui di sopra, e volendolo fare cangiante, va’ lavorando sopra l’oro di che colore ad olio tu vuoi, pur che svarii dal campo.
Ad idem, in muro. Metti il vestire di stagno dorato; campeggialo del campo che vuoi; spolvera, lavora, e gratta il drappo con lo stile del legno, temperati i colori sempre con rossume d’uovo. E sarà assai bel drappo, secondo muro. Ma di mordenti puo’ tu lavorare così in muro, come in tavola.
Capitolo CXLIV
Cap. CXLIV – In qual modo si contraffà in muro il velluto, o panno di lana, e così la seta, in muro e in tavola.
Se vuoi contraffare un velluto, fa’ il vestire, temperato con rossume, di quel colore che vuoi. Poi con pennello di vaio va’ facendo i peluzzi, come istà il velluto, di color temperato ad olio; e fa’ i pelucci grossetti. E per questo modo puo’ fare velluti negri, rossi, e di ciascun colore, temperando nel detto modo. Egli è alcuna volta buono a fare parere in muro un riverscio, o un vestire che paia propio panno di lana. E per tanto, quando hai smaltato, pulito e colorito, riserbati, quello che vuoi fare, di dietro. Abbi tanta assicella piana, poco maggiore di una tavola da giucare; e, con sprizzando acqua chiara col pennello nel detto o su per lo detto luogo, va’ rimenando a tondo con questa assicella. La calcina viene ruvida e mal pulita. Lasciala stare, e coloriscila come sta, senza pulire; e parratti proprio panno, o ver drappo di lana.
Ad idem. Se vuoi fare drappo di seta, o in tavola o in muro, campeggia di cinabro, e pallia o ver vitica di minio; o vuoi di sinopia scura, e pallia di cinabro o di giallorino, in muro; e in tavola, d’orpimento o di verde, o vuoi di qual colore tu vuoi, campeggia scuro, e pallia chiaro.
Ad idem, in muro in fresco. Campeggia d’indaco, e pallia d’indaco e bianco sangiovanni mescolato insieme. E se di questo colore vuoi lavorare in tavola o in palvesi, miscola l’indaco con biacca temperata con colla: e per questo modo puoi fare de’ drappi assai e di più ragioni, secondo tuo intelletto, e come di ciò ti diletterai.
Capitolo CXLV
Cap. CXLV – Come si colorisce in tavola, e come si stemperano i colori.
Credo che per te medesimo tanto intelletto arai con la tua pratica, che per te medesimo t’ingegnerai, veggendo questo modo, saper lavorare pulitamente di drappi di più maniere. E, per la grazia di Dio, è di bisogno che vegniamo al colorire in tavola. E sappi che ’l lavorare di tavola è propio da gentile uomo, chè con velluti in dosso puoi fare ciò che vuoi. Ed è vero che il colorire della tavola si fa propio come ti mostrai a lavorare in fresco; salvo che tu svarii in tre cose. L’una, che ti conviene sempre lavorare vestiri e casamenti, prima che visi. La seconda cosa si è, che ti conviene temperare i tuoi colori sempre con rossume d’uovo, e ben temperati: sempre tanto rossume quanto il colore che temperi. La terza si è, che i colori vogliono essere più fini, e ben triati sì come acqua. E, per tuo gran piacere, sempre incomincia a lavorare vestiri di lacca, con quel modo che in fresco ti ho mostrato; cioè lascia il primo grado del suo colore, e togli le due parti colore di lacca, il terzo di biacca. E da questo, temperato che gli è, ne digrada tre gradi, che poco svarii l’uno dall’altro: temperati bene, come t’ho detto, e dichiarati sempre con biacca ben triata. Poi ti reca la tua ancona innanzi: e sempre fa’ che con lenzuolo la tegni coverta, per amor dell’oro e de’ gessi, chè non si danneggino dalla polvere; e che i lavorii t’eschino bene netti tra le mani. Poi piglia un pennello mozzetto di vaio, e incomincia a dare il colore scuro, ritrovando le pieghe in quella parte dove dee essere lo scuro della figura. E all’usato modo piglia il colore di mezzo: e campeggia i dossi e i rilievi delle pieghe scure, e comincia col detto colore a ritrovare le pieghe del rilievo, e inverso il lume della figura. Poi piglia il colore chiaro, e campeggia i rilievi e i dossi del lume della figura. E per questo modo ritorna da capo alle prime pieghe scure della figura col colore scuro. E così, come hai incominciato, va’ più e più volte coi detti colori, mo dell’uno e mo dell’altro, ricampeggiandoli, e ricommettendoli insieme con bella ragione, sfumati con delicatezza. E di questo hai tempo a poterti levare del lavorio, e per qualche spazio riposarti e ritornarti in su ’l detto lavorio che abbi in tavola: vuol essere lavorato con gran piacere. Quando hai finito di campeggiare bene, e di commettere i detti tre colori; del più chiaro fa’ un altro più chiaro, lavando sempre il pennello dall’un colore all’altro; e di questo più chiaro fanne un altro più chiaro, e fa’ che poco svarii dall’uno all’altro. Poi tocca di biacca pura, temperata come detto è; e toccane sopra i maggiori rilievi. E così di mano in mano fa’ degli scuri, per fin che tocchi ne’ maggiori scuri di lacca pura. E abbi a mente, come hai fatto i tuoi colori fatti di grado in grado, così gli metti in tuo’ vasellini di grado in grado, acciò che non erri del pigliarne uno per un altro. E, per lo simile, d’ogni colore che vuoi colorire, tienne questo modo, o vuoi rossi, o bianchi, o gialli, o verdi. Ma se volessi fare un bel colore biffo, togli lacca ben fina e azzurro oltramarino ben fine e sottile; e di questo mescuglio con la biacca fa’ i tuo’ colori, di grado in grado, sempre temperandoli. Se vuoi fare un vestire con azzurro, biancheggiato, per questo modo il dichiara con la biacca; e lavoralo per lo soprascritto modo.
Capitolo CXLVI
Cap. CXLVI – Come dèi fare vestiri di azzurro, d’oro, o di porpora.
Se vuoi fare un azzurro, cioè un vestire, nè tutto biancheggiato, nè tutto campeggiato, togli di tre o di quattro partite di azzurro oltremarino: chè ne troverrai di più ragioni, più chiaro l’un che l’altro. E colorisci secondo il lume della figura, come di sopra ti ho mostrato. E per lo detto modo ne puoi fare in muro con la sopraddetta tempera in secco. E se non volessi fare la spesa di queste medesime partite, troverai azzurri della Magna. E se volessi drapparli d’oro, anche il puoi fare. E puoi toccarli con un poco di biffo nelli scuri delle pieghe e un poco nelle chiare, ritrovando gentilmente sopra all’oro, le pieghe. E questi tali vestiri ti piaceranno forte, e spezialmente in vestiri di Domeneddio. E volendo vestire Nostra Donna d’una porpora, fa’ il vestire bianco, aombrato d’un poco di biffo chiaro chiaro, che poco svarii dal bianco. Drappeggialo d’oro fine, e poi il va’ ritoccando, e ritrovando le pieghe sopra all’oro d’un poco di biffo più scuro: ed è vago vago vestire.
Capitolo CXLVII
Cap. CXLVII – In qual modo si coloriscono i visi, le mani, i piedi, e tutte le incarnazioni.
Fatti che hai e coloriti vestimenti, alberi, casamenti, e montagne, dèi venire a colorire i visi: i quali ti conviene cominciare per questo modo. Abbi un poco di verdeterra con un poco di biacca ben temperata; e a distesa danne due volte sopra il viso, sopra le mani, sopra i piè, e sopra ignudi. Ma questo cotal letto vuole essere a’ visi di giovani con fresca incarnazione, temperato il letto e le incarnazioni con rossume d’uovo di gallina della città, perchè sono più bianchi rossumi, che quelli che fanno le galline di contado o di villa, che sono buoni per la loro rossezza a temperare incarnazioni di vecchi e bruni. E dove in muro fai le tue rosette di cinabrese, abbi a mente che in tavola vuol essere con cinabro. E quando dai le prime rosette, non fare che sia cinabro puro, fa’ che vi sia un poco di biacca; e così da’ un poco di biacca al verdaccio che di prima aombri. Poi secondo che lavori e colorisci in muro, per quel medesimo modo fa’ tre maniere d’incarnazioni, più chiara l’una che l’altra; mettendo ciascuna incarnazione nel suo luogo delli spazi del viso: non però appressandoti tanto all’ombre del verdaccio, che in tutto le ricuopra; ma a darle con la incarnazione più scura, alliquidandole e ammorbidandole sì come un fummo. E abbi che la tavola richiede essere più volte campeggiata che in muro; ma non però tanto, che io non voglia che il verde, ch’è sotto le incarnazioni, sempre un poco traspaia. Quando hai ridotto le tue incarnazioni, che ’l viso stia appresso di bene, fa’ una incarnazione più chiaretta, e va’ ricercando su per li dossi del viso, biancheggiando a poco a poco con dilicato modo, per fino a tanto che pervegna con biacca pura a toccare sopra alcuno rilievuzzo più in fuora che gli altri, come sarebbe sopra le ciglia, o sopra la punta del naso. Poi profila gli occhi di sopra un profiluzzo di negro, con alcuno peluzzo (come istà l’occhio), e le nari del naso. Poi togli un poca di sinopia scura, con un miccino di nero; e profila ogni stremità di naso, d’occhi, di ciglia, di capellature, di mani, di piè, e generalmente d’ogni cosa, come in muro ti mostrai; sempre con la detta tempera di rossume d’uovo.
Capitolo CXLVIII
Cap. CXLVIII – Il modo di colorire un uomo morto, le capellature, e le barbe.
Appresso di questo parleremo del modo del colorire un uomo morto, cioè il viso, il casso, e dove in ciascun luogo mostrasse lo ignudo, così in tavola come in muro: salvo che in muro non bisogna per tutto campeggiare con verdeterra; pur che sia dato innanzi o vero in mezzo tra l’ombre e le incarnazioni, basta. Ma in tavola campeggia all’usato modo, sì come informato ho d’un viso colorito o vivo; e, per lo usato modo, col medesimo verdaccio aombra. E non dare rosetta alcuna, chè ’l morto non ha nullo colore; ma togli un poco d’ocria chiara, e digrada da questa tre gradi d’incarnazione, pur con biacca, e temperali a modo usato; dando di queste tali incarnazioni catuna nel luogo suo, sfummando bene l’una con l’altra, sì in nel viso, sì per lo corpo. E per lo simile, quando l’hai appresso che coperta, fa’ di questa chiara un’altra incarnazione più chiara, tanto che riduca le maggiori stremità de’ rilievi a biacca pura. E così profila ogni contorno di sinopia scura con un poco di nero temperato; e chiamerassi sanguigno. E per lo medesimo modo le capellature (ma non che paiano vive, ma morte) con verdacci di più ragioni. E come ti mostrai più ragioni e modi di barbe in muro, per quel modo fa’ in tavola; e così ogni osso di cristiano, o di creature razionali, fa’ di queste incarnazioni sopraddette.
Capitolo CXLIX
Cap. CXLIX – Come dèi colorire un uomo ferito, o ver la ferita.
A fare o ver colorire un uomo fedito, o ver fedita, togli cinabro puro; fa’ che campeggi dove vuoi fare sangue. Abbi poi un poco di lacca fina, temperata bene a modo usato; e va’ per tutto aombrando questo sangue o gocciole o fedite, o come si sia.
Capitolo CL
Cap. CL – In che modo si colorisce un’acqua o un fiume, con pesci o senza, in muro e in tavola.
Quando volessi fare un’acqua, un fiume, o che acqua tu volessi, o con pesce o sanza, in muro o vero in tavola; in muro, togli quel medesimo verdaccio che aombri i visi in su la calcina; fa’ i pesci, aombrando con questo verdaccio pur sempre l’ombre in su’ dossi: avvisandoti ch’e pesci, e generalmente ogni animale irrazionale, vuole avere il suo scuro di sopra e ’l lume di sotto. Poi, quando hai aombrato di verdaccio, biancheggia di sotto di bianco sangiovanni, in muro; e in tavola, con biacca: e va’ facendo sopra i pesci alcuna ombra del medesimo verdaccio, e per tutto ’l campo. E se volessi fare alcuno disvariato pesce, cardalo d’alcune spine d’oro. In secco dare puoi a distesa, per tutto ’l campo, verderame ad olio; e per questo modo ancora in tavola. E se non volessi fare ad olio, togli verdeterra o verde azzurro, e cuopri per tutto ugualmente; ma non tanto, che non traspaia sempre pesci e onde d’acqua; e, se bisogna, le dette onde biancheggiale un poco in muro con bianco, e in tavola con biacca temperata. E questo ti basti al fatto del colorire; e pervegniamo all’arte dell’adornare. Ma prima diremo de’ mordenti.
Capitolo CLI
Cap. CLI – Il modo di fare un buon mordente per mettere d’oro panni e adornamenti.
El si fa un mordente, il quale è perfetto in muro, in tavola, in vetro, in ferro, e in ciascheduno luogo; il quale si fa in questo modo.
Tu torrai il tuo olio cotto al fuoco o al sole, cotto per quel modo che indietro t’ho mostrato; e tria con questo olio un poco di biacca e di verderame; e quando l’hai triato come acqua, mettivi dentro un poco di vernice, e lascialo bollire un poco ogni cosa insieme. Poi togli un tuo vasellino invetriato, e mettivilo dentro, e lascialo godere. E come ne vuoi adoperare, o per panni o per adornamenti, togline un poco in un vasellino, e uno pennello di vaio fatto in un bucciuolo di penna di colombo o di gallina, e fallo ben sodetto e punzío, e che la punta esca poco poco fuori del bocciuolo. Poi intigni poca cosa della punta in nel mordente, e lavora i tuoi adornamenti e i tuo’ fregi. E, come ti dico, fa’ che ’l pennello non sia mai troppo carico. La ragione: chè ti verrà fatto i tuoi lavori come capelli sottili, ch’è più vago lavoro. Voglia innanzi sentare più a fargli; poi aspetta di dì in dì. Tasta poi questi lavori col dito anellario della man diritta, cioè col polpastrello; e se vedi che piccola cosa morda e tegna, allora togli le pinzette, taglia un mezzo pezzo d’oro fino, o d’oro di metà, o d’ariento (benchè non durano), e mettilo sopra il detto mordente. Calcalo con bambagia, e poi col detto dito va’ leccando di questo pezzo d’oro, e mettendone sopra il mordente che non n’ha. E non far con altro polpastrello di dito, chè egli è il più gentile che abbi la mano: e fa’ che le tue mani sien sempre nette. Avvisandoti che l’oro che si mette in su’ mordenti, spezialmente in questi lavori sottili, vuole essere il più battuto oro e il più fiebole che possi trovare: chè s’egli è sodetto, non puoi adoperarlo sì bene. Quando l’hai per tutto mettuto d’oro; se vuoi, il puoi lasciare stare in nell’altro dì; e poi togli una penna, e spazza per tutto: e se vuoi ricogliere il detto oro che casca, o vero spazzatura, serbalo; ch’è buono per orefici, o per tua fatti. Poi togli della bambagia ben netta e nuova, e va’ brunendo perfettamente il tuo fregio mettuto d’oro.
Capitolo CLII
Cap. CLII – Come puoi temperare questo mordente per mettere più presto d’oro.
Se vuoi che questo mordente, detto di sopra, duri otto dì; innanzi che sia da mettere d’oro, non vi mettere verderame. Se vuoi che duri quattro dì, mettivi un poco di verderame. Se vuoi che ’l mordente sia buono dall’un vespero all’altro, mettivi dentro assai verderame, e ancora un miccino di bolo. E se trovassi che nessuna persona ti biasimasse il verderame, perchè non pervenisse a contaminare l’oro, lásciati dire; chè io l’ho provato che l’oro si conserva bene.
Capitolo CLIII
Cap. CLIII – Il modo di fare un altro mordente coll’ aglio; e dove sia meglio adoperarlo.
È un altro mordente, il quale si fa per questo modo. Togli agli mondi, in quantità di due o tre scodelle o una; pestagli in mortaio, strucali con pezza lina due o tre volte. Piglia questo sugo, e tria con esso un poco di biacca e di bolo, sottile quanto più puoi al mondo. Poi l’asuna; mettilo in un vasello, cuoprilo e conservalo: chè quanto più è vecchio e antico, tanto più è migliore. Non torre aglietti nè agli giovani; togli d’un mezzo tempo. E quando vuoi adoperare del detto mordente, mettine un poco in un vasellino invetriato, e con poca d’orina, e rimena con un fuscellino bellamente tanto, a tuo modo, ch’al detto tuo pennello corra da poterlo abilmente lavorare. E per lo sopraddetto modo, passando mezza ora, il puoi mettere d’oro per lo modo sopraddetto. E questo mordente ha questa natura, che ’l ti aspetta di mettere d’oro mezza ora, un’ora, un dì, una settimana, un mese, un anno, e quanto vuoi. Tiello pur bene coperto, e guardalo dalla polvere. Questo cotal mordente non si difenderebbe nè da acqua nè da umido: ma in chiese, e dove fusse coperto e mura di mattoni; ma la sua natura è in tavola e in ferro, o dove fusse cosa che si avessi a vernicare con vernice liquida. E questi modi di queste due generazioni mordenti ti bastino.
Capitolo CLIV
Cap. CLIV – Del vernicare.
A me pare avere detto assai del modo del colorire in muro, in fresco, in secco, e in tavola. Mo sopperremo al modo del colorire, e mettere d’oro, e miniare in carta. Ma prima voglio che vediamo il modo del vernicare in tavola o vero ancona, e qualunque altro lavorío si fusse, fuori che in muro.
Capitolo CLV
Cap. CLV – Del tempo e del modo di vernicare le tavole.
Sappi che ’l più bello e migliore vernicare che sia, si è che quanto più indugi dopo il colorire della tavola, tanto è migliore. E dico: bene indugiando parecchi anni, e per lo meno uno, e più ti riesce fresco il tuo lavoro. La ragione: il colorire per natura ha quella condizione che ha l’oro, che non vuole per compagnia d’altri metalli; e per costante hanno i colori, che, quando sono insieme con le loro tempere, non vogliono altro mescuglio d’altre tempere.
La vernice è un licore forte, ed è dimostrativo, e vuole in tutto essere ubbidito, e annulla ogni altra tempera. E di subito come la distendi sopra il tuo lavoro, di subito ogni colore perde di sua forza, e conviengli ubbidire alla vernice, e non ha mai più possanza d’andarsi ricreando con la sua tempera. Ond’egli è buono a indugiare a invernicare più che puoi; chè vernicando poi ch’e’ colori con le loro tempere abbin fatto loro corso, e’ rivengono poi freschissimi e belli, restando verdanti nella medesima forma sempre. Adunque togli la tua vernice liquida e lucida e chiara la più che possi trovare. Metti la tua ancona al sole, e spazzala; forbila dalla polvere e da ogni fastidio, quanto più puoi; e guarda che sia tempo sanza vento, perchè la polvere è sottile, e ogni volta che ’l vento te la traportasse sopra il tuo lavoro, non potresti bene con abil modo ridurlo a nettezza. Potresti bene essere in luoghi, come sono prati d’erbe, o in mare, che la polvere non ti potrebbe dare impaccio. Quando hai la tavola riscaldata dal sole, e medesimamente la vernice, fa’ che la tavola stia piana; e con la mano vi distendi per tutto questa vernice, sottilmente e bene. Ma guarti di non andare di sopra all’oro, chè non gli piace compagnia di vernice, nè d’altri licori. Ancora se non vuoi fare con mano, togli un pezzoletto di spugna ben gentile, intinta nella detta vernice; e rullandola con la mano sopra l’ancona, vernica per ordine, e leva e poni come fa bisogno. Se volessi che la vernice asciugasse sanza sole, cuocila bene in prima; chè la tavola l’ha molto per bene a non essere troppo sforzata dal sole.
Capitolo CLVI
Cap. CLVI – Come in corto tempo puoi far parere invernicata una pittura.
Per parere che in corto tempo un tuo lavoro paia invernicato, e non sia, togli chiara d’uovo ben rotta con la scopa quanto si può più, tanto che pervegnia spuma ben soda; lasciala stillare una notte. Togli in un nuovo vaselletto quella ch’è istillata, e con pennello di vaio ne da’ a distesa sopra i tuoi lavori; e parranno vernicati, e ancora sono più forti. Questo cotale invernicare ama molto le figure distagliate, o del legno o di pietra; e vernicare per questo modo i loro visi e mani e ogni loro incarnazioni. E questo basti a dire sopra il vernicare; e diremo del colorire e miniare in carta.
Capitolo CLVII
Cap. CLVII – In che modo dèi miniare e mettere d’oro in carta.
Prima, se vuoi miniare, conviene che con piombino o vero stile disegni figure, fogliami, lettere, o quello che tu vuoi, in carta, cioè in libri; poi conviene che con penna sottilmente raffermi ciò che hai disegnato. Poi ti conviene d’avere d’un colore cioè d’un gesso, il quale si chiama asiso, e fassi per questo modo, cioè: abbi un poco di gesso sottile, e un poco di biacca, men che per terza parte del gesso; poi togli un poco di candi, men che la biacca. Tria queste cose con acqua chiara sottilissimamente. Poi ’l ricogli; lascialo seccare sanza sole. Quando ne vuoi adoperare per mettere d’oro, to’ne un poco, quello che per bisogno ti fa; e distemperalo con chiara d’uovo bene sbattuta, come di sopra t’hone insegnato. E tempera con essa questo mescuglio. Lascialo seccare. Poi abbi il tuo oro: e con l’alito, e senza alilo, il può’ mettere. E mettudo in su l’oro, abbi il tuo dentello o pietra da brunire, e bruniscilo; ma tieni sotto la carta una tavoletta soda di buono legname, e ben pulita; e quivi su brunisci. E sappi che di questo asiso puoi scrivere con penna lettere, campi, e ciò che vuoi; ch’è perfettissimo. E innanzi che lo metta d’oro, guarda s’è di bisogno con punta di coltellino raderlo, e spianarlo, o nettarlo di niente; chè alcuna volta il tuo pennelletto pone più in un luogo che in un altro. Di ciò ti guarda sempre.
Capitolo CLVIII
Cap. CLVIII – Un altro modo per mettere d’oro in carta.
Se vuoi un’altra maniera d’asiso (ma non è così perfetta, ed è buono a mettere campo d’oro, ma non è da scrivere), togli gesso sottile, e ’l terzo biacca, e ’l quarto bolo armeniaco, con un poco di zucchero. Tria tutte queste cose ben sottilmente con chiara d’uovo. Poi all’usato modo campeggia; lascialo seccare. Poi con punta di coltellino radi e rinetta il tuo gesso. Metti sotto la carta la detta tavoletta, o pietra ben piana, e brunisci. E se caso venisse che non si brunisse bene, quando metti l’oro, bagna il gesso con acqua chiara, con un pennelletto di vaio; e quando è secco, bruniscilo.
Capitolo CLVIX
Cap. CLIX – Di un colore simile all’oro, il quale si chiama porporina; e in che modo si fa.
Io ti voglio mostrare un colore simile all’oro, il quale è buono in carta di questi miniatori, e ancora in tavola se n’adoprerebbe; ma guarti come dal fuoco o da veleno che questo colore, il quale si chiama porporina, non si avvicinasse a nessun campo d’oro: che io t’avviso, che se fusse un campo d’oro mettudo, che tenesse di qui a Roma, e quanto mezzo grano di panico fusse d’ariento vivo e toccasse questo campo d’oro, è sufficiente a guastarlo tutto. E il migliore rimedio che possi prestamente avere, si è, con punta di coltellino o di agugella fare un frego sopra lo detto oro: e non andrà impigliando più oltre. Questo colore di porporina si fa per questo modo. Togli sale armeniaco, stagno, zolfo, ariento vivo, tanto dell’uno, quanto dell’altro: salvo che meno d’ariento. Metti queste cose in una ampolla di ferro, o di rame, o di vetro. Fondi ogni cosa al fuoco; ed è fatto. Poi tempera con chiara d’uovo e con gomma arabica, e mettine e lavorane come ti pare. Se ne fai vestiri, aombra o con lacca o con azzurro <o> con biffo: sempre i tuo’ colori temperali con gomma arabica in carta.
Capitolo CLX
Cap. CLX – In qual modo si macina l’oro e l’argento, e come si tempera per far verdure e adornamenti, e come si può invernicare il verdeterra.
Se vuoi lavorare in tavola, o in carta, o in muro, o dove vuoi, d’oro, ma none in tutto pieno sì come in campo d’oro; o volessi lavorare alcuno albore che paresse degli albori di paradiso; togli i pezzi dell’oro fino, in quantità secondo il lavoro che vuoi fare o volessi scrivere con esso; cioè dieci o venti pezzi. Metteli in su la pietra proferitica, e con chiara d’uovo, bene sbattuta, tria bene il detto oro, e poi il metti in un vasellino invetriato: mettivi tanta tempera, che corra o a penna o a pennello; e sì ne puoi fare ogni lavoro che vuoi. Ancora il puoi macinare con gomma arabica in carta: e se fai foglie d’álbori, mescola con questo oro un poco di verde, ben sottile macinato, per le foglie scure. E per questo modo, mescolando con altri colori, puoi fare cangianti a tuo senno. Di questo così fatto oro macinato, o ariento, o oro di metà, tu ne puoi ancor cardare vestiri a modo antico, e farne certi adornamenti, i quali per li altri non molto s’usano, e fánnoti onore. Ma ciò che ti mostro, convien che per te medesimo adoperi sentimento in saperli ben guidare.
Capitolo CLXI
Cap. CLXI – Dei colori che si adoperano in lavorare in carta.
Egli è verità, che di tutti i colori che adoperi in tavola, puoi adoperare in carta; ma voglionsi macinare sottilissimamente. Bene è vero che so’ certi colori che non hanno corpo, i quali si chiamano pezzuola, e quali si fa d’ogni colore: e non bisogna se non tòrre un poco di questa pezzuola di qual colore la si sia tinta o colorita, metterla in un vasellino invetriato, o in una coppa; mettervi della gomma; ed è buono a lavorare. Ancora si fa d’un colore di verzino bollito con ranno e allume di rôcca; e poi, quando è freddo, si macina con calcina viva, e fa una rosetta assai bella, e viene ad avere un poco di corpo.
Capitolo CLXII
Cap. CLXII – Del modo di lavorare in tela o in zendado.
Ora parliamo del modo di lavorare in tela, cioè in pannolino, o in zendado. E terrai questo modo in tela: che prima ti conviene mettere il telaio bene disteso, e chiavare prima e diritti delle cuciture; poi d’intorno intorno andare con chiovetti, distenderla egualmente d’una perfetta ragione, che tutta perfettamente abbi ritrovato bene ciascheduno nerbo. Quando così hai fatto, togli gesso sottile e un poco d’amido, o vero un poco di zuccaro, e macina queste cose con colla di quella ragione ch’hai temperato il gesso in tavola; macinato bene sottile; ma prima con questa colla senza gesso, danne una volta per tutto; e se la colla non fusse così forte come di gesso, non monta nulla. Fa’ che sia calda quanto puoi, e con pennello di setole mozzo e morbido ne da’ a ciascuna delle parti, se hai a dipignere da ogni parte. Piglia poi, quando è asciutta, la tela: abbi una mella di coltello che sia nel taglio piana e diritta come una riga, e di questo gesso con questa punta ne da’ su per la detta tela, andando ponendo e levando agguagliatamente, come radessi; e quanto men gesso vi lassi, tanto è meglio: che spiani pure i bucetti delle fila, assai basta una volta dare di gesso. Quando è asciutta, togli uno coltellino bene radente, guardando la detta tela se vi fusse nodo ovver groppo, e to’lo via; e poi piglia il tuo carbone, con quel medesimo modo che disegni in tavola, disegna in tela, e ferma con acquerella d’inchiostro. Poi ti voglio insegnare, se vuoi mettere le diademe e campo d’oro brunito come in tavola, che comunemente in ogni tela o zendado si mette a mordente, cioè di quella semenza di lino; ma perchè questo modo è miracoloso infra gli altri che molti hanno fatti, però te ne avviso; e puossi il panno avvolgere e piegare senza offendere a l’oro e a’ colori. Togli prima del detto gesso sottile con un poco di bolio, e con un poca di chiara d’uovo e di colla tempera il detto gesso, e danne una volta in quello luogo dove vuoi l’oro mettere. Quando è secco, radilo un pochettino; poi abbi bolio macinato e temperato come quel proprio che metti in tavola, e per quel modo ne da’ cinque o sei volte: lassalo stare alcun dì. Metti il tuo oro propriamente come fai in tavola, e bruniscilo, tenendo di sotto alla detta tela una asse bene pulita e soda, avendo uno cuscino tra la tela e l’asse; e per questo modo granisce e stampa le dette diademe, e saranno proprie come in tavola. Ma convienti poi, perchè alcuna volta questi palii, che si fanno alle chiese, sono portati di fuora, piovendo; e per tanto bisogna provedere d’avere una vernice ben chiara, e quando vernichi il colorito, vernica un poco e le dette diademe o ver campo d’oro.
All’usato modo dell’ancone, ti conviene colorire di passo in passo in su la detta tela, ed è più dolce lavorare che in tavola; però che la tela ritiene un poco il molle; ed è proprio come lavorassi in fresco, cioè in muro. E ancora t’avviso che, colorendo, vuole essere molte e molte volte campeggiato i colori, assai più che in tavola, perchè la tela non ha corpo come l’ancona, e nel vernicare poi dimostra non bene, quando è campeggiata male. Medesimamente tempera i colori come in tavola. E più in ciò non mi distendo.
Capitolo CLXIII
Cap. CLXIII – Come si lavori in tela nera o azzurra, o in cortine.
Se tu avessi avere a lavorare in tela nera o azzurra, sì come in cortine, distendi la tua tela a modo detto di sopra. Non ti bisogna ingessare: non puoi disegnare con carbone. Togli gesso da sartori, e fanne gentilmente cotali pezzoletti, come fai di carboni; e mettili per un bucciolo di penna d’oca, di quella grossezza che richiede. Metti una asticciuola nel detto bocciuolo, e disegna leggermente. Poi rafferma con biacca temperata. Poi da’ una mano di quella colla che temperi i gessi in ancone ovvero in tavola: poi campeggia quanto più puoi, e colorisci vestimenti, visi, montagne, casamenti, e quello che a te pare, e tempera a modo usato. Ancora a colorire in cortine puoi togliere della tela bianca, e soprapporla su la tela azzurra, attaccata con sugoli a modo di colla; e mettevi secondo le tue figure che vuoi spandere per lo campo, e puoi colorire con certe acquerelle di colori, senza vernicare poi. E fassene assai, e per buono mercato, e sono assai belle al pregio. Ancora in cortine puoi fare di pennello alcuni fogliamenti, d’indaco con biacca pura, su per lo campo, temperata con colla; e lasciare fra questi fogliamenti alcuni belli spazi per fare alcuni lavoretti d’oro fatti di mordenti ad olio.
Capitolo CLXIV
Cap. CLXIV – Come si dee disegnare in tela o in zendado per servigio de’ ricamatori.
Ancora ti conviene alcune volte servire ricamatori di più ragioni disegni. E pertanto fatti mettere a’ predetti maestri tela o zendado in telaio bene disteso; e se è tela bianca, togli e tuo’carboni usati, e disegna quello che vuoi. Poi piglia la penna e lo inchiostro puro, e rafferma, sì come fai in tavola con pennello. Poi spazza il tuo carbone. Poi abbi una spugna ben lavata, e strucata dell’acqua. Poi con essa stropiccia la detta tela dal lato dirieto dove non è disegnato, e tanto mena la detta spugna, che la detta tela rimanga bagnata tanto, quanto tiene la figura. Poi abbi un pennelletto di vaio mozzetto; intingilo nello inchiostro, e strucalo bene; e con esso comincia ad aombrare ne’ luoghi più scuri, riducendo e sfummando a poco a poco. Tu troverrai che la tela non serà sì grossa, che per questo tal modo farai sì le tue ombre sfumate, ch’el ti parrà una maraviglia. E se la tela s’asciugasse innanzi avessi fornito d’aombrare, ritorna con la detta spugna a ribagnarla a modo usato. E questo ti basti a l’opera della tela.
Capitolo CLXV
Cap. CLXV – Del lavorare in zendado palii, gonfaloni, stendardi o altri lavori, e del mettere d’oro diademe o campi.
Se hai a lavorare in zendado, palii o altri lavori, distendili prima in telaio, sì come ti dissi della tela; e secondo il campo che ha, secondo to’ carboni o neri o bianchi. Fa’ il tuo disegno, e rafferma o con inchiostro o con colore temperato; e se bisogna sia lavorato da ciascuna delle parti una medesima storia o figura, metti il telaro al sole, vòlto il disegnato verso il sole, ch’el vi batta dentro. Sta’ dal lato di drieto col tuo colore temperato; va’ col pennello tuo sottiletto di vaio su per l’ombre che vedi del disegno fatto. Se hai a disegnare di notte, togli un lume grande verso il lato disegnato, e un lume piccolo dal lato che disegni. Ciò è al lavorare come fusse un doppiero impreso dal lato disegnato, e una candela dal lato che disegni. Se non è sole, e hai a disegnare di dì, fa’ che ’l lume di due finestre sia dal lato del disegnato, e da quel che hai a disegnare batta un lume d’una piccola finestretta. Poi incolla della colla usata dove hai a colorire e metter d’oro, e miscola un poco di chiara d’uovo con la detta colla, come sarebbe una chiara d’uovo in quattro muglioli o vero bicchieri di colla; e incollato che hai, se volessi mettere alcuna diadema o campo d’oro brunito, per farti grande onore e nome, togli gesso sottile, e un poco di bolio armenico macinato insieme sottilissimamente con un micin di zucchero. Poi con la colla usata, e poca poca di chiara d’uovo miscolata con poco di biacca, ne da’ sottilmente due volte dove vuo’ mettere d’oro. Poi da’ il tuo bolio, sì come el dài in tavola; poi metti il tuo oro con acqua chiara, miscelandovi un poco della detta tempera del bolio, e brunisci su prieta ben pulita, o asse ben soda e pulita: e così granisci e stampa in su la detta asse. Ancora puoi colorire ogni cosa a modo usato, temperato i colori con rossume d’uovo, campeggiali i colori sei o otto volte o dieci per amor del vernicare; e poi puoi mettere le diademe o campi d’oro con mordenti ad olio, e gli adornamenti con mordenti d’aglio e vernicati poi; ma meglio è con mordenti ad olio. E questo basti a stendardi e gonfaloni, e tutto.
Capitolo CLXVI
Cap. CLXVI – Il modo di colorire e di mettere d’oro in velluti.
Se avessi a lavorare in velluti e disegnare per ricamatori, disegna i tuo’ lavorii con penna, o vuoi inchiostro o vuo’ biacca temperata. Se ti conviene colorire alcuna cosa o mettere d’oro, togli colla a modo usato, e altrettanta chiara d’uovo e un poco di biacca, e con pennello di setole ne da’ sopra il pelo, e abbattilo per forza e maccalo ben giù. Poi colorisci e metti d’oro a modo detto; ma pur l’oro a mordenti. Ma men fatica ti sarà il lavorare ogni cosa in zendado bianco, tagliato fuora le figure o altro che facessi: e falle fermare a’ ricamatori in sul tuo velluto.
Capitolo CLXVII
Cap. CLXVII – Del lavorare in panno di lana.
Se caso ti avviene d’avere a lavorare in panno di lana, per cagione di tornieri o di giostre, (chè sono alcuni gentili uomini e gran signori gravidi di volere cose stratte, e vorranno d’oro o d’ariento loro divise su per lo detto panno), togli prima, secondo il colore del drappo, o vero panno, il carbone che si richiede a disegnare, e ferma con penna, sì come hai fatto nel velluto; e poi togli chiara d’uovo bene dirotta, sì come da prima t’insegnai, e altrettanta colla a modo usato, e danne su per lo pelo del detto panno in quello luogo dove hai a mettere d’oro. Poi, quando è asciutto, va’ con un dentello, e brunisci su per lo detto panno; poi ne da’ della detta tempera due o tre volte. Quando è ben secca, da’ il tuo mordente, tanto che non esca fuori del temperato, e metti di quello oro e ariento che a te piace e pare.
Capitolo CLXVIII
Cap. CLXVIII – Come dèi lavorare coperte da cavalli, divise e giornee per torneamenti e per giostre.
Alcuna volta in questi tornieri e giostre si fa sopra i cavalli coverti e sopra giornee, alcune divise rilevate e cucite sopra i detti lavorii. E però ti dimosterrò come di carta bambagina si fanno; e queste tali carte si mettono prima tutto lo foglio della carta ad oro o ad ariento brunito; e fassi in questo modo, cioè: macina sottilmente quanto più puoi un poco d’ocria o gesso da sartori, un poco poco di bolio armenico: temperali insieme con colla, la quale sia squasi pura acqua, che non sia forte niente, ma poco abbi di sustanzia o vero valore; e con pennello di setole morbido, o vuoi con pennello di vaio, ne darai a distesa una volta su per i fogli della carta bambagina buoni da scrivere e non iscritti; e quando sono asciutti, ritorna, e parte bagna con pennello di vaio, e parte metti d’oro con quello modo e ordine che metti in tavola in sul bolo; e guarda poi, quando hai mettuto tutto lo foglio, quando tempo è di brunirlo. Abbi una prieta ben piana o asse bene pulita e dura, e sopra ciò brunisci i tuo’ fogli: e poni da parte. E di questi cotali fogli tu puoi fare animali, fiori, rose, e di molte maniere di divise, e fatti grande onore; e fai tosto e bene: e puo’le adornare con alcuno coloruzzo ad olio.
Capitolo CLXIX
Cap. CLXIX – Del fare cimieri o elmi da torneamenti e da rettori.
Quando ti viene il caso di fare alcuno cimieri o elmo da torniero, o da rettori che abbino andare in signoria; prima ti conviene avere cuoio bianco, el quale non sia concio se non con mórtina o vuoi cefalonia: distendilo e disegna il tuo cimiere come lo vuoi fatto; e disegnane due, e cuce insieme l’uno con l’altro, ma lassa tanto da un de’ lati, che vi possa mettere del sabbione, e con una bacchetta el priemi tanto che gualivamente sia ben pieno. Quando così hai fatto, mettilo al sole per più dì; quando è bene asciutto, tirane fuori il sabbione; poi della colla usata da ingessare togli, e incollalo due volte o tre. Poi abbi del gesso grosso macinato con colla, e miscolavi dentro della stoppa battuta, e fa’ che sia sodo a modo di pasta; e di questo gesso va’ ponendo e bozzando, daendoli quella forma o d’uomo o d’animale che abbi a fare o d’uccello, assimigliandolo el più che puoi. Fatto questo, togli del gesso grosso macinato con colla liquido e corsivo a pennello, e sopra questo cimieri ne darai tre o quattro volte a pennello. Poi quando è ben secco, radilo e puliscilo, sì come fai quando lavori in tavola. Poi a quel modo medesimo, come t’ho mostrato a ingessare di gesso sottile in tavola, per quel modo ingessa questo cimieri. Quando è secco, radilo e puliscilo; e poi se bisogna fare occhi di vetro, con gesso da rilevare li commetti e rilieva, se di bisogno è. Poi se ha essere d’oro o d’ariento, metti di bolo, sì come in tavola, e tieni in ogni cosa quel medesimo modo, e così del colorire; vernicandolo a modo usato.
Capitolo CLXX
Cap. CLXX – Come dèi lavorar cofani o vero forzieri, e il modo di adornarli e colorirli.
Volendo lavorare cofani o vero forzieri, se li vuoi far realmente, ingessali e tieni tutti que’ modi che tieni a lavorare in tavola, di mettere d’oro, di colorire, e di granare, d’adornare, e di vernicare, senza distendermi a dirti di punto in punto.
Se vuoi lavorare altri cofani di men pregio, incollali in prima, e impanna le sfenditure, e così fa’ ancora quelli di sopra: ma questi tu puoi ingessare prima a stecca e a pennello, pur con la cendere bene tamigiata, con colla usata. Quando e ingessato e secco, puliscilo; e, se vuoi, ingessalo di gesso sottile.
Se vuoi poi adornare di certe figure di stagno o altre divise, tieni questo modo, cioè: abbi una pietra tenera, piana e macigna, e in su questa pietra intaglia di ciascun lavorío che vuoi, o tu te la fa’ intagliare; e ogni poco cavo basta. Qui fa’ intagliare figure, animali, divise, fiori, stelle, rose, e d’ogni maniera che nello intelletto tuo desideri. Poi abbi dello stagno battuto, o vuoi giallo o vuoi bianco, in più doppi, e mettilo sopra la ’mpronta che vuo’ fare. Poi abbi a modo d’uno stoppacciolo di stoppa bagnata bene, e poi premuta, e mettila sopra questo stagno; e abbi da l’altra mano uno magliuolo non troppo grieve di saligaro, e batti sopra questa stoppa, rimenandola e rivolgendola coll’altra mano; e quando l’hai bene battuta che vedi dimostrare perfettamente ogni intaglio, togli gesso grosso macinato con colla sodetta, e con istecca ne da’ sopra questo stagno battuto. Quando hai così fatto, togli un coltellino, e con la punta ritrova l’un pezzo dello stagno, e spiccalo e lievalo su; poi ritorna col tuo gesso e colla tua stecca a l’usato modo ritrova e separa il pezzo dello stagno a modo usato. Tanto ne fa’ per questo modo, che n’abbi doviziosamente; e mettili asciugare. Come son secchi, abbi una punta di coltellino ben tagliente, e a pezzo a pezzo di questo stagno metti in su un’asse di noce ben piana, e va’ tagliando fuori tutto stagno che avanza fuor del contorno della tua figura. E per questo modo ne fa’ quella quantità che vuoi.
Quando hai i tuoi cofani in ordine ingessati e campeggiati di quel color che vuoi, abbi della colla usata e ancor più forte, e bagna bene sopra il gesso delle tue figure o divise, e di subito l’appicca e compartisci per lo campo del tuo coffano, e con pennello di vaio va’ profilando e daendo alcuno coloruzzo: poi vernica il detto campo. Quando è asciutto, abbi una chiara d’uovo battuta, e con spugna bagnata in questa chiara la va’ fregando su per lo invernicato, e poi con altri colori va’ palliando e adornando il detto campo con ciò che colore tu vuoi, che isvarii partitamente del campo. E più non mi distendo di ciò parlare, perchè se sarai bene sperto e pratico nelle cose grandi, saprai bene fare in nelle piccole; dimostrandoti qui appresso come si lavora in vetro.
Capitolo CLXXI
Cap. CLXXI – Come si lavorano in vetro, finestre.
Per due maniere si lavora in vetro; cioè in nelle finestre, e in pezzi di vetro, i quali si mettono in anconette, o vero in adornamento d’orliquie. Mo diremo prima del modo delle finestre: vero è che questa tale arte poco si pratica per l’arte nostra, e praticasi più per quelli che lavorano di ciò; e comunemente quelli maestri che lavorano, hanno più pratica che disegno, e per mezza forza e per la guida del disegno pervengono a chi ha l’arte compiuta, cioè che sia universale, e buona pratica. E per tanto, quando i detti verranno a te, tu piglierai questo modo. E’ ti verrà colla misura della sua finestra, larghezza e lunghezza: tu torrai tanti fogli di carta incollati insieme quanti ti farà per bisogno alla tua finestra; e disegnerai la tua figura prima con carbone, poi fermerai con inchiostro; aombrata la tua figura compiutamente sì come disegni in tavola. Poi il tuo maestro di vetri toglie questo disegno, e spianalo in sul desco, o tavola, grande e piano; e secondo che colorire vuole i vestimenti della figura, così di parte in parte va tagliando i vetri, e datti un colore el quale si fa di limatura di rame ben macinato; e con questo colore tu con pennelletto di vaio, di punta vai ritrovando a pezzo a pezzo le tue ombre, concordando l’andare delle pieghe delle pieghe e dell’altre cose della figura, di pezzo in pezzo di vetro, sì come el maestro ha tagliato e commesso; e di questo cotal colore tu puoi universalmente aombrare ogni vetro. Poi il maestro, innanzi che leghi insieme l’un pezzo coll’altro, secondo loro usanza, il cuoce temperatamente in casse di ferro con suo cendere, e poi li lega insieme. Tu puoi lavorare sopra i detti vetri drappi di seta, vitigare e palliare e far lettere, ciò è campeggiando del detto colore, e poi grattare, sì come fai in tavola. Hai un vantaggio: che non ti bisogna dare altro campo, chè trovi vetro d’ogni colore. E se t’avvenissi avere a fare figurette piccole, o arme o divise sì piccole, che i vetri non si potesser tagliare; aombrato che hai col predetto colore, tu puoi colorire alcuni vestimenti, e tratteggiare di colore ad olio: e questo non fa luogo ricuocere, nè non si vuol fare, perchè non faresti niente. Lascialo pur seccare al sole, come a lui piace.
Capitolo CLXXII
Cap. CLXXII – Come si lavora in opera musaica per adornamento di reliquie; e del musaico di bucciuoli di penna, e di gusci d’uovo.
Una altra maniera è da lavorare in vetro vaga, gentile e pellegrina quanto più dir si può, la quale è un membro di gran devozione per adornamento d’orliquie sante, e vuole avere in sè fermo e pronto disegno; la quale maniera si lavora per questo modo, cioè. Togli un pezzo di vetro bianco che non verdeggi, ben netto senza vesciche, e lavalo con lisciva e con carboni, fregandovi su poi, e rilava con acqua ben chiara, e per se medesima el lascia asciugare; ma prima che il lavi, taglialo di quella quadra che ’l vuoi. Poi abbi la chiara dell’uovo fresco; con una scopa ben netta, dirompila sì come fai quella ch’è da mettere d’oro: che sia ben dirotta; e lasciala stillare per una notte. Poi abbi un pennello di vaio, e di questa chiara col detto pennello bagna il detto vetro, dal suo rivescio, e quando è bene bagnato ugualmente, togli un pezzo dell’oro, che sia bene fermo oro, cioè appannato: mettilo in sulla paletta di carta, e gentilmente il metti sopra il detto vetro dove hai bagnato; e con un poca di bambagia ben netta va’ calcando gentilmente, che la chiara non passi di sopra l’oro; e per questo modo metti tutto il vetro: lascialo seccare sanza sole per spazio d’alcuni dì. Quando è ben secco, abbi una tavoletta ben piana, foderata o di tela nera o di zendado, e abbi un tuo studietto, dove alcuna persona non ti dia impaccio nessuno, e che abbi sola una finestra impannata; alla quale finestra metterai il tuo desco sì come da scrivere, in forma che la finestra ti batta sopra il capo, staendo tu volto col viso alla detta finestra; il tuo vetro disteso in sulla detta tela nera. Poi abbi una agugella legata in una asticciuola, sì come fusse un pennelletto di vaio, e che sia ben sottile di punta; e col nome di Dio il comincia leggermente a disegnare con questa agugiella quella figura che vuoi fare; e fa’ che il primo disegno si dimostri poco, perchè non mai non si può torre giù; e per tanto fa’ leggermente tanto che fermi il tuo disegno; poi va’ lavorando, sì come penneggiassi; perchè il detto lavoro non si può fare se non di punta; e vuoi vedere se ti conviene avere leggiera mano, e che non sia affaticata? che la più forte ombra che possi fare, si è andare con la punta della detta agugella per infino al vetro, e più oltre, la mezzana ombra, si è a non in tutto passare l’oro che è così sottile; e non si vuole lavorare per fretta, anco con gran diletto e piacere. E dòtti questo consiglio: che il dì che vuoi lavorare nella detta opera, tiene il dì dinanzi la mano a collo o vuoi in seno, per averla bene scarica e temperata da sangue e da fatica.
Avendo il tuo disegno fornito, e vuoi grattare via certi campi che comunemente si vogliono mettere d’azzurro oltramarino ad olio, togli uno stile di piombo e va’ fregando sopra il detto oro, che tei leva pulitamente via; e va’ nettamente dirieto ai contorni della figura. Quando così hai fatto, togli di più colori macinati ad olio, sì come azzurro oltramarino, negro, verderame, e lacca: e se vuoi alcuno vestire o riverscio che risprenda in verde, metti verde; se vuoi in lacca, metti in lacca; se vuoi in negro, metti in negro. Ma sopra tutto il negro avanza; chè ti scolpisce le figure meglio che nessuno altro colore: le tue figurette con cosa piana sbattile e priemile nel gesso, chè il lavoro venga ben piano. E per questo modo lavora il tuo lavorío.
A questa opra medesima, e molto fine, buccioli di penne tagliati molto minuti sì come panico e tinti sì come detto ho. Ancora puoi lavorare del detto musaico in questo modo. Togli le tue guscia d’uovo ben peste pur bianche, e in sulla figura disegnata campeggia, riempi e lavora sì come fussi coloriti: e poi quando hai campeggiata la tua figura coi colori propii da cassetta, e temperati con un’ poca di chiara d’uovo, va’ colorendo la figura di parte in parte, sì come facessi in su lo ingessato propio, pur d’acquerelle di colori; e poi quando è secco, vernica sì come vernici l’altre cose in tavola. Per campeggiare le dette figure sì come fai in muro, a te conviene pigliare questo partito, di toglier fogliette dorate, o arientate, o oro grosso battuto o ariento grosso battuto: taglialo minutissimo, e colle dette mollette va’ campeggiando a modo che campeggi i tuoi gusci pesti, dove il campo richiede oro. Ancora, campeggiare di gusci bianchi il campo, bagnare di chiara d’uovo battuta, di quella che metti il tuo oro in sul vetro; bagna della medesima; metti il tuo oro come trae il campo; lascia asciugare, e brunisci con bambagia. E questo basti alla detta opera musaica, o vuoi greca.
Capitolo CLXXIII
Cap. CLXXIII – Il modo di lavorare colla forma dipinti in panno.
Perchè all’arte del pennello ancora s’appartiene di certi lavorii dipinti in panno lino che son buoni da guarnelli di putti o ver fanciulli, e per certi leggii da chiese, el modo del lavorarli si è questo.
Abbi un telaio fatto sì come fusse una finestra impannata, lungo dua braccia, largo un braccio, confitto in su regoli pannolino o vuoi canovaccio. Quando vuoi dipignere il tuo pannolino una quantità di sei o di venti braccia, avvolgilo tutto, e metti la testa del detto panno in sul detto telaio; e abbi una tavola di noce o di pero, pur che sia di legname ben forte, e sia di spazio come sarebbe una prieta cotta o vero mattone: la quale tavoletta sia disegnata e cavata una grossa corda; nella quale vuole essere disegnato d’ogni ragione drappo di seta che vuoi, o di foglie o d’animali; e fa’ che sia in forma distagliata e disegnata, che le facce tra tutte e quattro vengano a riscontrarsi insieme e fare opera compiuta e legata; e vuole avere manico da poterla levare, e porre in su l’altra faccia che non è intagliata. Quando vuoi lavorare, togli un guanto in mano sinistra, e prima macina del negro di sermenti di vite, macinati sottilissimamente con acqua. Poi, asciutto perfettamente o con sole o con fuoco, puoi da capo macinarlo a secco, e mescolarlo con vernice liquida, tanto che sia bastevole; e con una mestoletta togli di questo negro, e spianatene su per la palma della mano, cioè sopra il guanto; e così ne va’ imbrattando l’asse dove è intagliata, bellamente, che l’intaglio non si riempiesse. Comincia, e mettila ordinata e gualiva, e sopra la detta tela distesa in sul telaro, e di sotto dal telaro: togli in mano destra una scudella o scudellino di legno, e col dosso frega fortemente per quello spazio quanto l’asse intagliata tiene; e quando hai tanto fregato, che credi bene che ’l colore sia bene incarnato colla tela o ver panno lino, leva la tua forma su, rimettivi colore da capo, e per grande ordine rimetti al detto modo tanto che compiutamente fornisca tutta la pezza. Questo lavorío richiede essere ordinato d’alcuno altro colore campeggiato in certi luoghi, perchè paia di più vista: onde ti conviene avere colori senza corpo, ciò è giallo, rosso, e verde. Il giallo: togli del zafferano e scaldane bene al fuoco e stemperalo con lisciva ben forte. Abbi poi un pennello di setole morbide e mozzetto. Distendi il panno dipinto in su uno desco o tavola, e va’ compartendo di questo giallo, o animali o figure, o fogliami, come a te parrà. Appresso togli del verzino, rasato con vetro; mettilo in molle in lisciva; fallo bollire con un poco di allume di roccia; fallo bollire un poco, tanto che venga che abbi il suo colore perfetto vermiglio. Levalo dal fuoco, che non si guasti; poi col detto pennello compartisci, si come hai fatto il giallo. Poi togli del verderame, macinato con aceto e con un poco di zafferano temperato con una poca di colla non forte. Compartisci col detto pennello sì come hai fatto il giallo, e gli altri colori, e fa’ che sieno compartiti che si veggia d’ogni animale, gialli, rossi, verdi e bianchi.
Ancora, a lavorare il detto lavoro è buono abbruciare olio di semenza di lino, sì come addietro t’ho mostrato, e di quel nero, che è sottilissimo, tempera con vernice liquida; ed è perfettissimo e sottile negro: ma è di più costo. E ’l predetto lavoro è buono a lavorare in su tela verde, rossa, negra, e gialla, e azurra o vuoi biava. Se è verde, puoi lavorarla di minio o vuoi cinabro macinato sottilissimo con acqua. Seccalo bene e spolverezzalo e temperalo con vernice liquida. Metti questo colore in sul guanto, sì come fai del negro, e per quello medesimo modo lavora. Se è tela rossa, togli dell’indaco con biacca macinato sottilmente con acqua: asciugalo e seccalo al sole: poi lo spolverezza: temperalo con vernice liquida a modo usato, e per quello modo lavora che fai di negro. Se la tela è negra, la puoi lavorare d’un biavo ben chiaro, cioè biacca assai e poco indaco, mescolato, macinato e temperato, secondo usanza che detto t’ho degli altri colori. Se la tela è biava, togli della biacca macinata e riseccata e temperata secondo il modo delli altri colori. E generalmente secondo che truovi i campi, secondo tu puoi trovare altri colori svariati da quelli, e più chiari e più scuri, secondo che a te parrà che per tua fantasia possa comprendere; chè l’una cosa t’insegnerà l’altra, sì per pratica e sì per sapere d’intelletto. La ragione è, che ciascuna arte di sua natura è abile e piacevole: chi ne piglia, se n’ha, e simile per lo contrario avviene.
Capitolo CLXXIV
Cap. CLXXIV – A mettere d’oro brunito una figura di pietra.
Egli accade che s’intenda l’uomo d’un’arte saper lavorare compiutamente d’ogni cosa, e specialmente di cose che abbino a importare onore: e per tanto non che s’usi, ma perchè io n’ho gustato, però tel mosterrò. E’ ti verrà per le mani una figura di pietra o grande o piccola: tu la vorrai mettere d’oro brunito: pertanto piglierai questo modo, cioè spazza e forbi bene la tua figura; poi piglia della colla comune, cioè di quella tempera che ingessi l’ancone, e falla bene bogliente; e quando è così bollente, danne sopra questa figura una volta o due, e lasciala ben seccare. Appresso di questo, abbi carboni di quercia o vero di rovere, e pestali, e abbi un tamigio, e tamigiane fuori la polvere del detto carbone. Poi togli uno crivello minuto da uscirne el gran come è ’l miglio, e crivella questo carbone e metti dispersè questa cotal crivellatura, e fanne per questo modo, tanto che a te basti. Fatto questo, abbi olio di semenza di lino cotto e fatto alla perfezione di fare mordente, e mescolavi della vernice liquida per terzo. Fa’ ben bollire insieme ogni cosa. Quando è ben caldo, abbi un vasello, mettivi drento la crivellatura del carbone: appresso di questo, mettivi questo tal mordente: mescola bene insieme, e con pennello o di setole o di vaio grossetto, gualivamente ne da’ in ogni luoco e per tutta la figura o vero altro lavoro. Quando hai così fatto, mettila in luogo che asciughi bene, o vento o sole, come a te piace. Essendo la tua figura ben secca, togli un’poca della colla predetta; mettivi dentro, se fusse di quantità d’un bicchieri, mettivi un rossume d’uovo: mescola bene insieme, e ben caldo: abbi un poco di spugna; intignila in questa tempera, e non troppo pregna la spugna, va’ strupicciando e fregandola in qualunque luogo hai dato del mordente, col carbone. Dimostrandoti il perchè tu dái questo tale mordente, la ragione è questa: perchè la pietra tiene sempre umido, e come il gesso temperato con colla el sentisse, subito marcisce e spiccasi e guastasi: onde questo tale olio e vernice è arme e mezzo di concordare il gesso con la pietra, e per questa cagione tel dimostro. El carbone sempre tiene asciutto per l’umidità della pietra. Onde volendo seguitare il tuo lavoro, abbi gesso grosso e colla distemperata con quel modo che ingessi un piano di tavola o d’ancona, salvo secondo la quantità, voglio vi metta uno, o due, o tre rossumi d’uovo, e poi a stecca da’ sopra il detto lavoro: e se mescoli insieme con queste cose un poco di polvere di mattoni pesti, tanto serà migliore: e di questo tale gesso ne dà a stecca due o tre volte, e lascialo seccare bene. Secco che è perfettamente, radilo e nettalo, sì come fai in tavola o in ancona. Poi abbi gesso sottile o vuoi da oro, e con la medesima colla tempera e macina questo tal gesso, sì come fai o ingessi in tavola; salvo ch’è di bisogno che tu vi metta alcuna cosa di rossume d’uovo, non tanto quanto metti nel gesso grosso: e incomincia a darne la prima volta su per lo detto lavoro, stropicciando bene colla mano perfettissimamente. Da questa volta in su da’ del gesso a pennello quattro o sei volte, sì come ingessi in tavola, con quello proprio modo e con quella diligenzia. Fatto questo, e secco bene, radilo gentilmente: poi il metti di bolo temperato, a quel modo sì come fai in tavola, e pur quella via e modo tieni a mettere d’oro e brunire con pietra o con dentello. Ed è questa così real parte di questa arte, come al mondo possa essere. E se pur ti venisse caso che pur alcuno lavorío messo del detto oro avesse a stare in pericolo d’acqua, tu il puoi vernicare; ma non è sì bello, ma bene più forte.
Capitolo CLXXV
Cap. CLXXV – In che modo si può rimediare all’umidità del muro, dove si dee dipingere.
Accade al proposito della detta arte, dover alcuna volta ad alcuni lavorii che si fanno in muri umidi, porvi rimedio: ond’è di bisogno provedersi con sentimento e con buona pratica. Sappi che quella operazione fa l’umido in el muro, che fa l’olio in tavola; e come l’umido corrompe la calcina, così l’olio corrompe il gesso e sue tempere: onde è da sapere di che maniera questo umido può venire a fare grande nocimento. Come indietro t’ho detto, che la più nobile e forte tempera che far si possa in muro si è lavorare in fresco, cioè nella calcina fresca; e sappi che se dinanzi entro la faccia del muro giammai piovesse quanta acqua si potesse, non può nuocere giammai niente; ma quella che piove dirieto al muro dell’altra faccia, quello è quello il quale forte dannifica, o veramente alcuna gocciola che piovesse sopra il muro a scoperto: onde a questo è da ponere rimedio: cioè: prima si dee guardare in che luogo lavori, e come il muro è saldo e come coperto, e farlo coprire con ogni perfezione. E se è in luogo dove altr’acqua per condotto vada che onestamente non si possa divietare, tiene questo modo, cioè: sia di che pietra condizione il muro, abbi olio di linseme cotto a modo di mordente, e stempera con matton pesto insieme e intridi: ma prima di questo olio o ver mordente ben bogliente ne da’ o con pennello o con pezza sopra il detto muro. Appresso di questo, togli di questo intriso di matton pesto e danne sopra il detto muro, in modo che venga bene rasposo: lassalo seccare per alcun mese, tanto che sia ben secco: poi con cazzuola abbi calcina ben fresca di galla; tanto calcina, quanto sabbione; e mescolavi dentro polvere stacciata di matton pesto, e smalta perfettamente una o due volte, lassando lo smalto bene a riposo e arricciato. Poi quando vuoi dipignere e lavorarci su, smalta il tuo intonaco sottile, sì come addietro il modo di lavorare in muro t’ho mostrato.
Capitolo CLXXVI
Cap. CLXXVI – Di due altri modi buoni a questo medesimo effetto.
A questo medesimo: prima togli di questa pece da navi e bene bogliente ne da’ e imbratta bene il muro. Quando hai fatto questo, togli della medesima pegola o vero pece e togli mattone ben secco e nuovo, pesto: d’ogni maniera pesta e incorporane alquanto colla predetta pegola: danne per tutto il muro, cioè quanto tiene l’umidezza, e più. Ed è molto perfetto smalto. E arriccia colla calcina, sì come di sopra t’ho mostrato e detto. Ancora a questo medesimo: avere quantità di vernice liquida bene bogliente, e darne di prima su per la faccia del muro umido, e per lo simile dare del matton pesto mescolato con la predetta vernice, è perfettissimo e buono rimedio.
Capitolo CLXXVII
Cap. CLXXVII – Del lavorare camere o logge a verdeterra in secco.
Alcuna volta si lavora in camera o sotto logge o poggiuoli: chè tutte le volte non si lavora in fresco: però ch’el trovi per altro tempo smaltato e vuoi lavorare in verde: pertanto togli verdeterra e ben macinata e temperata con colla da ingessare, non troppo forte, e danne con pennello di setole grosso per tutto il campo due o tre volte: quando hai fatto questo e che sia asciutto, disegna con carbone, a modo che fai in tavola, e ferma le tue storie con inchiostro, o vuoi con colore nero, cioè con carbone di viti trito bene e temperato con uovo o vuoi pure rossume d’uovo e l’albume insieme; e spazzato di carbone, togli una scudella o catinella grande d’acqua o vuoi metadella a modo di Toscana. Appresso di questo, vi metti quanto sarebbe un cuslieri di mele e dibatte bene ogni cosa insieme. Fatto questo, togli una spugna e attuffala in questa acqua; premila un poco, e va’ con essa su per lo campo messo di verde: poi con acquerella di nero da’ le tue ombre ben dilicate e morbide e sfumanti. Poi abbi biacca macinata e temperata colla detta tempera d’uovo detto di sopra, e biancheggia le tue figure, come si richiede di ragion d’arte. Sopra le dette figure tu puoi dare alcuno coloruzzo svariato dal verde, come d’ocria, cinabrese e d’orpimento; e adornare alcuno fregetto ed eziandio mettere i campi d’azzurro. E nota che questo tale lavoro tu puoi anche in verde lavorare in tavola, e ancora in muro in fresco, smaltando e campeggiando col detto verdeterra, o vero che si vuole biancheggiare con bianco sangiovanni.
Capitolo CLXXVIII
Cap. CLXXVIII – Come si può invernicare una tavola lavorata di verdeterra.
Troverai alcuni che il lavorìo che ti faranno fare in tavole in verde, vorranno che lo vernichi. Dicoti che non è usanza, e non il richiede il verdeterra; ma tuttavia contentar si vogliono. Or tieni questo modo, cioè: abbi raditura di carta pecorina: bollila bene con acqua chiara, tanto che vegna a una comunal tempera, cioè colla: e di questa colla con pennello di vaio grosso gentilmente e leggiermente da’ due o tre volte sopra le tue figure o storie, generalmente per tutto dove hai a invernicare. Quando hai data la detta colla ben chiara e netta, e ben colata due volte, lascialo il tuo lavoro seccare bene per ispazio di tre o di quattro dì. Poi va’ sicuramente con la tua vernice invernicando per tutto, che troverrai che il verdeterra vorrà così la vernice, come vuole gli altri colori.
Capitolo CLXXIX
Cap. CLXXIX – Come, avendo dipinto il viso umano, si lavi e netti dal colore.
Usando l’arte, per alcune volte t’addiverrà avere a tignere o dipignere in carne, massimamente colorire un viso d’uomo o di femmina. I tuoi colori puoi fare temperati con uovo; o vuoi, per caleffare, ad oglio o con vernice liquida, la quale è più forte tempera che sia. Ma vorrai tu lavarla poi la faccia di questo colore, o ver tempere? togli rossumi d’uovo, a poco a poco gli frega alla faccia, e con la mano va’ istropicciando. Poi togli acqua calda bollita con romola, o ver crusca, e lavagli la faccia: e poi ripiglia un rossume d’uovo e di nuovo gli stropiccia la faccia. Avendo poi per lo detto modo dell’acqua calda, rilavagli la faccia. Tante fiate fa’ così, che la faccia rimarrà di suo colore di prima; non contando di più di questa materia.
Capitolo CLXXX
Cap. CLXXX – Perchè le donne debbansi astenere dall’usare acque medicate per la pelle.
Egli accaderebbe in servigio delle giovani donne, spezialmente di quelle di Toscana, di dimostrare alcuno colore del quale hanno vaghezza, e usano di farsi belle e di alcune acque. Ma perchè le Padovane non l’usano, e per non dar loro cagione di riprendermi, e similmente è in dispiacere di Dio e di Nostra Donna; pertanto mi tacerò. Ma ben ti dico, che per volere conservare la faccia tua gran tempo di suo colore, usa lavarti con acqua di fontana, di pozzo, o di fiume: avvisandoti che se usi altra manual fattura, il volto viene in corto tempo vizzo, e i denti negri, e finalmente le donne invecchiano innanzi il corso del tempo, e pervegnon le più sozze vecchie che possa essere. E questo basti a dire di questa ragione.
Capitolo CLXXXI
Cap. CLXXXI – Come sia cosa utile l’improntare di naturale.
Oggimai a me pare avere assai detto sopra tutti i modi del colorire. Ora ti voglio toccare d’un’altra, la quale è molto utile (e al disegno fatti grande onore) in ritrarre e simigliare cose di naturale; la quale si chiama improntare.
Capitolo CLXXXII
Cap. CLXXXII – In che modo s’impronta di naturale la faccia d’uomo o di femmina.
Vuo’ tu avere una faccia d’un uomo, o di femmina, e di qual condizione si sia? Tienne questo modo. Abbi il giovane, o donna, o vecchio: benchè la barba o capellatura male si può fare, ma fa’ che sia rasa la barba. Togli olio rosato e odorifero; con pennello di vaio grossetto ungeli la faccia: mettili in capo o berretta o cappuccio; e abbi una benda larga una spanna, e lunga come sarebbe dall’un omero all’altro, circondando la sommità del capo sopra la berretta: e cuci l’orlo intorno alla berretta dall’uno orecchio all’altro. Metti in ciascuno orecchio, cioè nel buso, un’poca di bambagia: e, tirato l’orlo della detta benda o ver pezza, cucila al principio del collarino; e da’ una mezza volta a mezza la spalla, e torna a’ bottoni dinanzi. E per questo modo fa’ e cuci ancora dall’altra spalla; e per quel modo vieni a ritrovare la testa della benda. Fatto questo, rovescia l’uomo o la donna in su un tappeto, in su desco, o ver tavola. Abbi un cerchio di ferro largo un dito o due, con alcun dente di sopra in forma d’una sega. E questo cerchio circondi la faccia dell’uomo, e sia più lungo che la faccia due o tre dita. Fallo tenere ad un tuo compagno sospeso dalla faccia, che non tocchi l’aspettante. Abbi questa benda, e tirala intorno intorno; posando l’orlo, che non è cucito, a’ denti di questo cerchio; e allora fermandolo in mezzo tra la carne e ’l cerchio, acciò che il cerchio rimanga di fuori dalla benda, tanto che dalla benda al viso intorno intorno abbia di spazio due dita, o poco meno, sì come vuoi che la impronta della pasta vegna grossa. Dirotti, che quivi l’hai a buttare.
Capitolo CLXXXIII
Cap. CLXXXIII – Per qual modo si procura il respirare alla persona, della quale s’impronta la faccia.
El t’è di bisogno far lavorare a un orafo due cannelle d’ottone o ver d’ariento, le quali sieno tonde di sopra, e più aperte che di sotto, sì come sta la tromba; e sieno di lunghezza squasi una spanna per ciascuna, e grosse un dito, lavorate le più leggieri che puoi. Dall’altro capo di sotto vogliono essere frabicate in quella forma, sì come stanno i busi del naso; e tanto minori, ch’entrino a pelo a pelo ne’ detti busi, senza che il detto naso si abbi a aprire di niente. E fa’ che sieno spesso forate dal mezzo in su con busetti piccoli, e legate insieme; ma da piè, dov’entrano nel naso, artificialmente siano tanto dispartite l’una dall’altra, quant’è quello spazio della carne, ch’è dall’uno buso del naso all’altro.
Capitolo CLXXXIV
Cap. CLXXXIV – Come si getta di gesso sul vivo la impronta, e come si leva e si conserva e si butta di metallo.
Fatto questo, l’uomo o la donna fa’ che stia rivescio: e mettasi queste cannelle in ne’ busi del naso, e lui medesimo se le tegna con mano. Abbi apparecchiato gesso bolognese, e vuoi volterrano, fatto e cotto, fresco e ben tamigiato. Abbi appresso di te acqua tiepida in un catino, e prestamente vi metti in su quest’acqua di questo gesso. Fa’ presto, che rappiglia tosto; e fallo corsivo nè troppo nè poco. Abbi un bicchiere. Piglia di questa confezione e mettine e empine intorno al viso. Quando hai pieno gualivamente, riserba gli occhi a coprire dirieto a tutto il viso. Fagli tenere la bocca e gli occhi serrati; non isforzatamente, chè non bisogna; ma sì come dormissi; e quando è pieno il tuo vacuo di sopra al naso un dito, lascialo riposare un poco, tanto sia appreso. E tieni a mente che se questo cotale che impronti fosse di gran fatto sì come signori, re, papa, imperadori, intridi questo gesso pur con acqua rosa e tiepida: e ad altre persone, d’ogni acqua di fontana o di pozzo o di fiume, tiepida, basta. Asciutto e risecco la tua confezione, togli gentilmente, con temperatoio o coltellino o forbici, e sdruci intorno intorno la benda che hai cucita: tiragli fuori le cannelle dal naso, bellamente: fallo levare a sedere, o in piè, e tenendosi tralle mani la confezione, che ha al viso, adattandosi col viso gentilmente a trarlo fuori di questa maschera o ver forma. Ripolla, e conservala diligentemente. Fatta tale opera, abbi una fascia da putti, e circonda intorno intorno questa tale forma, in modo che la fascia duo dita avanzi l’orlo della forma. Abbi un pennello di vaio grosso; e, con quell’olio tu vuoi, ugni il vacuo della forma con gran diligenza, acciò che non ti venisse per disavventura guasto niente. E per lo sopraddetto modo intridi del sopraddetto gesso. E se volessi mescolare dentro polvere di mattone pesto, ne sarà di meglio assai. E col bicchiere o con iscodella piglia di questo gesso, e metti sopra della detta forma; e tiella sopra una panca, acciò che quando metti su la confezione, che con l’altra mano tu isbatti sopra la panca gentilmente, acciò che ’l gesso ugualmente abbi cagione di rientrare in ogni luogo, sì come fae la cera nel suggello, e che non faccia nè vesciche nè gallozze. Fatta e ripiena la detta forma, lasciala riposare mezzo dì, o il più, un dì. Abbi un martellino, e con bel modo va’ tastando e rompendo la scorza di fuori, cioè quella della prima forma, con sì fatto modo che non si rompa nè naso nè cosa alcuna. E sì, per trovare la detta forma più fiebole a rompere, innanzi che l’empia, abbi un pezzo di sega, e segala in più luoghi dal lato di fuori; non che passasse dentro, chè sarebbe troppo male. Interverratti che quando sarà piena, in piccola botta di martellino la spezzerai destramente. Per questo modo arai la effigia, o ver la filosomia, o vero impronta di ciascun gran signore. E sappi che poi di questa tal forma, poichè hai la prima, tu puoi fare buttare la detta impronta di rame, di metallo, di bronzo, d’oro, d’ariento, di piombo, e generalmente di qual metallo tu vuoi. Abbi pure maestri sofficienti, che del fondere e del buttare s’intendano.
Capitolo CLXXXV
Cap. CLXXXV – Ti dimostra come si può improntare un ignudo intero d’uomo o di donna, o un animale, e gettarlo di metallo.
Sappi che nel sopraddetto modo, volendo seguitare in più sottile magistero, t’avviso, che puoi l’uomo interamente buttarlo e improntarlo, sì come anticamente si trova di molte buone figure ignude. Onde di mestiero t’è, a volere un uomo tutto ignudo o donna, prima farlo stare in piè in su ’l fondo di una cassetta, la quale farai lavorare di altezza dell’uomo per infino al mento; e fa’ che la detta cassa si commetta o vero si scommetta in tutto per lo mezzo dall’un de’ lati, e dall’altro per lunghezza. Ordina che una piastra di rame ben sottile sia dal mezzo della spalla, cominciando all’orecchie, per insino in su ’l fondo della cassa: e vada circondando leggiermente sanza lesione su per la carne dello ignudo, non accostandosi alla carne una corda. E sia chiavata la detta piastra in su l’orlo, dove si commette la detta cassa. E per questo modo chiava quattro pezzi di piastra, che vegnino a conchiudersi insieme, siccome faranno gli orli della cassa. Poi ugni lo ’gnudo: mettilo ritto nella detta cassa: intridi del gesso abbondantemente, con acqua ben tiepida; e sia con compagnia, che se empi il dinanzi dell’uomo, che il compagno empia dirieto, acciò che a un medesimo tempo la cassa vegna piena per infino coperta la gola. Però che ’l viso, siccome t’ho mostro, puoi fare di per sè. Lascia posare il detto gesso tanto, che sia bene rassodato. Poi apri e scommetti la cassa, e metti alcuni ingegni e scarpelli tra gli orli della cassa e le piastre di rame o di ferro che abbi fatto: e aprila, sì come faresti una noce, tenendo dall’un lato e dall’altro i detti pezzi della cassa e della impronta che hai fatta. E moderatamente ne trai fuori lo ’gnudo: lavalo diligentemente con acqua chiara; chè sarà diventata la carne sua colorita come rosa. E a quel modo ancora, quando impronti la faccia, la predetta forma o vero impronta tu la puoi buttare di ciò che metallo tu vuoi; ma io ti consiglio di cera. La ragione: fa’ pure ragione che rompa la pasta senza lesione della figura, perchè tu puoi levare, aggiugnere, e rimendare dove la figura mancasse. Appresso di questo puoi aggiugnervi la testa; e buttare ogni cosa insieme, e tutta la persona: e per lo simile di membro in membro spezzatamente puoi improntare; cioè un braccio, una mano, un piè, una gamba, un uccello, una bestia, e d’ogni condizione animale, pesci, e altri animali simili. Ma vogliono essere morti, perchè non avriano il senno naturale, nè la fermezza di star fermi e saldi.
Capitolo CLXXXVI
Cap. CLXXXVI – Come si può improntare la propria persona, e poi gettarla di metallo.
A questo medesimo ancora ti puoi improntare la persona in questo modo. Fa’ fare una quantità o vuoi di pasta, o vuoi di cera: ben rimenata e netta, intrisa sì come fusse unguento, ben morbida; e sia distesa in su una tavola ben larga, sì come è una tavola da mangiare. Falla mettere in terra. Favvi distendere su questa pasta o ver cera, di altezza di mezzo braccio. Gittavi su, in quello atto che vuoi, o il dinanzi o il dirietro, o per lato. E se la detta pasta o ver cera ti riceve bene, fattene trarre fuora nettamente, tirandoti fuori per lo diritto, che non sia menato nè qua nè là. Lascia poi seccare la detta impronta. Quando è secca, falla gittare di piombo. E per lo simile modo fa’ l’altra parte della persona, cioè il contradio di quella che hai fatto. Poi raggiugni insieme; gittala di piombo tutta intera, o vuoi di altri metalli.
Capitolo CLXXXVII
Cap. CLXXXVII – Dell’improntare figurette di piombo, e come si moltiplicano le impronte col gesso.
Se volessi improntare figurette di piombo o d’altri metalli, ugni le tue figure, e improntale in cera, e tale di quel che vuoi: o vero che in tavola ti bisogna alcun rilievo, come teste di uomini e di lioni o di altri animali, o figurette piccole. Lascia seccare la ’mpronta che hai fatto di cera: poi l’ungi bene con olio da mangiare, o vuoi da bruciare. Abbi il gesso sottile o grosso, macinato con colla un poco forte: butta di questo gesso caldo sopra la detta impronta: lascialo freddare. Freddo che è, con la punta del coltellino dispartisci un poco di questo gesso dalla impronta. Poi in su questo spartito soffia bene forte. Ricevi in su la mano la tua fìguretta di gesso: e sarà fatta. E per questo modo ne puoi fare assai: e serbatele. E sappi, ch’è migliore farne di verno, che di state.
Capitolo CLXXXVIII
Cap. CLXXXVIII – Come s’impronta una moneta in cera o in pasta.
Se vuoi improntare santelene, ne puoi improntare in cera o in pasta. Falle seccare, e poi distruggi del zolfo: fallo buttare nelle dette impronte, e sarà fatto. E se le volessi fare pure di pasta, mescolavi minio macinato, cioè la polvere asciutta mescola con la detta pasta. E falla sodetta a tuo modo, si come ti pare.
Capitolo CLXXXIX
Cap. CLXXXIX – Come s’impronta un suggello o moneta con pasta di cenere.
Se volessi improntare suggello o un ducato o altra moneta ben perfettamente, tieni questo modo; e tiello caro, ch’è cosa molto perfetta. Abbi una catinella mezza di acqua chiara, o piena, come tu vuoi. Abbi della cenere, mezza scodella. Buttala in questa catinella, e rimenala con la mano. Istà poco; innanzi che l’acqua rischiari in tutto, vuota di quest’acqua torbidetta in altra catinella; e fa’ così più volte, tanto t’avvisi abbi tanta cenere, quanto ti fa bisogno. Poi lascia riposare, tanto che l’acqua sia chiara, e che la cenere sia ritornata bene a fondo. Tranne la detta acqua, e asciuga la detta cenere al sole, o come tu vuoi. Poi la intridi con sale distrutto in acqua, e fanne siccome se fusse una pasta. Poi sopra la detta pasta impronta suggelli, santelene, figurette, monete, e universalmente ciò che desideri d’improntare. Fatto questo, lascia asciugare la detta pasta moderatamente, sanza fuoco o sole. Poi sopra la detta pasta buttavi piombo, argento, o di ciò metallo che vuoi; che la detta pasta è sofficiente a ritenere ogni gran pondo.
Pregando l’altissimo Iddio, Nostra Donna, santo Giovanni, santo Luca evangelista e dipintore, santo Eustachio, santo Francesco, e santo Antonio da Padova, ci donino grazia e fortezza di sostenere e comportare in pace i pondi e fatiche di questo mondo; e appresso di chi vedrà il detto libro, gli donino grazia di bene studiare, e ben ritenerlo, acciò che col lor sudore possano in pace vivere e loro famiglia mantenere in questo mondo per grazia, e finalmente nell’altro per gloria, per infinita secula seculorum. Amen.
Finito libro referamus gratias Christo 1437.